Il direttore affronta l’opera al Festival Verdi di Parma L’eroe ricorda Amleto in una lettura intima e meditata Protagonisti Pretti, Buratto, Stoyanov e Tagliavini
Ascolti Ernani, l’Ernani di Giuseppe Verdi – la storia il musicista delle Roncole nel 1844 la prende da un dramma di Victor Hugo – e quasi non riesci a trattenerti dall’alzarti in piedi, nel mezzo del teatro semibuio. Fai fatica a ricacciare le parole in gola perché vorresti provare a cambiare il finale e ti verrebbe da gridare un «Ma dai Ernani, cedi a Silva il compito di uccidere il re, così la tua vita sarà salva. Chi oggi mantiene la parola data? Meglio salvarsi la pelle, no?».
Perché Ernani è innamorato di Elvira e la vuole strappare al vecchio Silva che sta per sposarla (ma lei ha pronto un pugnale per suicidarsi sull’altare). Silva lo scopre e giura vendetta. Ma anche il re, Don Carlo, è innamorato della ragazza e facendo leva sul suo potere (deformazione che la politica ha da sempre, nessuna invenzione dei signori delle cene eleganti con le olgettine…) la porta nel suo castello. Allora Ernani propone a Silva un patto: uccidiamo prima il re (omicidio politico, naturalmente, non solo passionale, durante una congiura), poi mi ucciderai. Anzi, quando vorrai che io muoia basterà che tu suoni il corno e io mi ucciderò. Nella congiura il prescelto per l’omicidio è (guarda caso) proprio Ernani: allora Silva gli propone uno scambio, cedergli il diritto di assassinare il re in cambio della sua vita. Ma Ernani (naturalmente) dice no. Ecco dove vorresti alzarti e dirgli: «Ma chi te lo fa fare?!». Per provare a cambiare il finale secondo una logica che, ti accorgi (e quasi te ne vergogni), è quella di (certo) mondo di oggi. Invece no. Verdi (e Hugo) ti danno, ancora una volta una lezione di vita. Di coerenza. Come ce la danno ancora tanti, oggi (ognuno, per fortuna, ha i suoi esempi). Così non serve alzarsi in piedi e provare a cambiare il finale, perché il finale è segnato.
Segnato sin dall’inizio, capisci appena Piero Pretti dice il suo (suo di Ernani) «Mercé diletti amici». Non lo canta un bandito spavaldo, un eroe senza paura come siamo abituati ad ascoltare. Lo canta un uomo – un ragazzo – fragile, pieno di dubbi. Malinconico e meditabondo. Una sorta di Amleto, tormentato e perdente da subito, con il destino segnato dalla morte. Appare così al Teatro Regio di Parma per l’edizione 2020 del Festival Verdi. Cartellone ridisegnato per l’emergenza Covid, anche se era già previsto che Ernani sarebbe stato proposto in forma di concerto. Niente Parco Ducale, però, dove era stato allestito un grande teatro all’aperto (palco ampio, sistema di amplificazione, bar, bookshop) usato, però, solo per tre sere. E dopo la quarta, cancellata causa maltempo (ma si sa che a settembre la sera calano le temperature e scende l’umidità – nociva al pubblico, ma soprattutto agli strumenti e ai cantanti), ecco la decisione di tornare al Regio (nel frattempo la disponibilità dei posti in base alle regole è aumentata a più di seicento ingressi consentendo di accontentare tutti quelli che avevano preso un posto all’aperto). Distanziamento sul palco, distanziamento in sala con barriere di plexiglass sugli schienali delle poltrone e tra un palchetto e l’altro. Obbligo «di indossare perentoriamente la mascherina durante tutta la serata» come invita a fare, gentile, ma irremovibile una voce fuori campo a inizio serata e nell’intervallo. Ma non per tutti è così. Qualcuno tra il pubblico fatica ad adeguarsi alle regole (e se glielo fai notare cerca pure di farti sentire in torto). Certo non ha un buon esempio nei vertici artistici del Festival che, seduti nei loro palchetti di prim’ordine, seguono tutta l’opera senza indossare la mascherina. Mentre sul palco Ernani, per mantenere fede a una parola/legge dell’onore, sceglie di morire rinunciando all’amore.
«Lex dura, sed lex» diceva qualcuno… andando incontro malinconicamente, ma a testa alta al proprio destino. Come succede in Ernani, dove tutti i personaggi prima lottano, ma poi accettano i disegni della vita, alcuni soccombendo (Silva, pur ottenendo vendetta, non ne esce bene, Elira sarà segnata a vita), altri provando ad esserne protagonisti. Lo fa Don Carlo che, eletto imperatore, sceglie la strada della clemenza verso chi congiurava contro di lui. Lo fa Ernani con il coraggio (sofferto) della coerenza.
Qui il nodo della lettura che dal podio offre di Ernani Michele Mariotti. Che fa una cosa apparentemente semplice, ma in realtà rivoluzionaria e dirompente: fa Verdi, punto. Il Verdi raffinato compositore, abile orchestratore, narratore impareggiabile, uomo di teatro che attraverso la finzione ci racconta chi siamo (lo faceva ieri, lo fa incredibilmente ancora oggi). C’è tutto nelle sue partiture, basta crederci, basta leggerle con occhi spalancati e cuore pronto a soffrire e gioire. Mariotti lo fa, segue (con gli occhi e con il cuore – lo vedi quando si gira verso il proscenio mollando lo sguardo sull’orchestra per cantare insieme ai solisti, quasi prendendoli per mano) la scrittura verdiana, la asseconda per lasciarla libera in tutta la sua grandezza. Ne esce una lettura di straordinaria bellezza, un racconto tutto intimo, mai urlato (e nessun zum-pa-pa che certi vogliono sentire in Verdi, specie il primo Verdi) quasi una lunga marcia funebre (che sfocia in una luce di speranza) per accompagnare Ernani verso il compimento del suo destino. Colori autunnali, da autunno della vita, sfumature che disegnano paesaggi dell’anima, tempi meditati nella lettura di Mariotti sul podio della Filarmonica Toscanini. Intima, certo, perché è un continuo zoomare sui sentimenti dei personaggi. Ma anche dal marcato respiro etico e civile nei curatissimi e cesellatissimi momenti corali – il Coro del Regio, dall’inconfondibile colore verdiano.
Il colore della terra, il colore della vita. Che hanno nella loro voce Piero Pretti, Eleonora Buratto, Vladimir Stoyanov e Roberto Tagliavini. Tutti (meritatamente) applauditissimi. L’Ernani di Piero Pretti, che ha squillo e voce di luminosa bellezza e accento che sa sempre toccare, è tormentato e ripiegato su se stesso. Elvira ha il peso vocale e gli acuti svettanti di Eleonora Buratto, impegnata in un (fortunato e parrebbe azzeccato) cambio di ruoli dove può dare sfogo al peso drammatico della sua voce. Roberto Tagliavini, grazie alla morbida bellezza del suo registro e a una tecnica impeccabile, disegna (senza mai fare la caricatura del vecchio) un Silva feroce nella sua fredda lucidità. Ascoltare Vladimr Stoyanov è sempre una gioia estetica (la voce è indubbiamente una delle più belle di oggi), ma soprattutto una lezione di stile verdiano per nobiltà di fraseggio, linea di canto, misura interpretativa, qualità che qui mette nel disegnare un altero Don Carlo. Cast eccellente completato da Carlotta Vichi, Paolo Antognetti e Federico Benetti.
Certo, lo sai che «Ernani è un’opera di straordinaria bellezza». Sentendola tutta zum-pa-pa, a volte, però, non sembrerebbe. Ridirselo, dopo averla ascoltata come l’ha diretta Mariotti a Parma, è (piacevolmente) d’obbligo.
Nella foto @Roberto Ricci Ernani al Festival Verdi di Parma