Inaugurata al Piermarini la nuova stagione dell’orchestra Flor dirige Mahler e Taras Bulba del compositore ceco
Un’inaugurazione pop quella della nuova stagione dell’Orchestra sinfonica di Milano laVerdi. Pop perché sul leggio il direttore musicale Claus Peter Flor ha messo tre pagine (annunciate due, poi arriva un bis) che affondano le radici nella musica popolare. Dichiaratamente. Lo fa Gustav Mahler nei Rückert lieder, lo fa Leos Janàček in Taras Bulba e lo fa (ecco il bis) Michail Glinka nell’ouverture di Ruslan e Ljudmila. Temi e colori della tradizione, impastati e restituiti in una forma nuova che conserva, però, quella radice popolare che li rende immediati e familiari da subito.
Ecco il profumo della serata inaugurale del nuovo cartellone (per ora autunnale, programmato sino a dicembre, per adattarsi, nel tempo, all’evoluzione delle norme di contenimento del coronavirus) de laVerdi che, come ormai tradizione, ha tagliato il nastro nella cornice del Teatro alla Scala. Pubblico di largo Mahler in trasferta – perché l’orchestra fondata nel 1993 ha un suo gruppo di ascoltatori affezionati – per un concerto di meno di un’ora (bis compreso la musica finisce dopo cinquanta minuti) e senza intervallo. Concerto culminato nella corsa precipitosa (e allegra) da lasciare senza fiato dell’ouverture di Ruslan e Ljudmila di Michail Glinka. Orecchiabilissima, che invita a battere il tempo, con quel qualcosa di noto, di popolare appunto – anche se il titolo e l’autore non ti si affacciano subito alla mente – che laVerdi restituisce con colori brillanti e abbandoni sentimentali. Che sono poi la cifra dei Rückert lieder di Mahler che aprono la serata con la voce venata di malinconia di Petra Lang (tutta in crescendo la prova del soprano): cinque quadri, quasi miniature da osservare da vicino, con una lente di ingrandimento sulla musica per scrutare l’anima che si perde e si ritrova nella natura, guardando le stelle per poi vivere solo nel suo cielo, nel suo amore e nel suo canto. Un suono piccolo che avvolge le parole quello chiesto ai musicisti de laVerdi da Flor con un gesto, però, ampio e plateale, quasi in contrasto con l’intimità messa da Mahler sul pentagramma.
Gesto che torna nel Taras Bulba dove Leos Janàček mette in musica un racconto di Gogol. Gesto anche qui, forse, troppo all’ennesima potenza per una narrazione, sì, epica perché rievoca la guerra contro i polacchi dei cosacchi di Zaporoz guidati da Taras Bulba e dai due figli Ostap e Andrej, ma declinata in chiave intima: sono tre momenti di vita (e di morte) personalissimi (pur se avviene in battaglia, la morte è qualcosa di privato, troppo spesso oggi resa spettacolo): Janàček racconta La morte di Andrei, La morte di Ostapov ed infine La profezia e la morte di Taras Bulba in quella che l’autore definisce una rapsodia per orchestra. Tre scene corali, tre pianosequenza che vedono la macchina da presa (la musica) stringere progressivamente sui protagonisti, accompagnandoli nel passaggio estremo.
Organico imponente (sistemato e distanziato sull’ampio palcoscenico della Scala) con i musicisti de laVerdi puntuali nei soli ed efficaci nel restituire un quadro d’insieme armonico e (nonostante quello che il gesto di Flor sembrerebbe chiedere) sempre misurato. Salutato da un lungo e caloroso applauso. Del pubblico de laVerdi che dal 24 torna in largo Mahler.