«Dirigo Händel, ma da sempre dipingo e faccio satira» racconta il musicista già collaboratore del Vernacoliere impegnato sul podio del Maggio a Firenze per il Rinaldo
Aveva dodici anni Federico Maria Sardelli quando il Vernacoliere, il popolare giornale satirico, gli pubblicò la sua prima vignetta. Un umorismo nonsense per quello che era considerato un bambino prodigio del disegno: «Ho riempito chilometri quadrati di carta, vincevo tutti i concorsi, non c’era storia: tutti i trofei erano miei» racconta il musicista livornese. Perché Sardelli, livornese, classe 1963, è uno dei massimi esperti del Barocco che porta in tutto il mondo con il suo ensemble Modo Antiquo. «Ma non sono un integralista della filologia, altrimenti non sarei al Teatro del Maggio a Firenze a fare Rinaldo di Georg Friedrich Händel con un’orchestra moderna dove gli archi suonano su corde di metallo e non di budello» spiega Sardelli ancora oggi, domenica 13 settembre, sul podio del Maggio per lo spettacolo, nella messinscena del 1985 di Pier Luigi Pizzi, che ha riportato l’opera in versione scenica nel capoluogo toscano. «Dopo la prima – racconta – la sensazione è stata di aver portato a compimento qualcosa che si era interrotto».
Perché, Federico Maria Sardelli, quando è scattato il lockdown eravate in prova proprio per questo Rinaldo.
«Abbiamo dovuto fermarci all’improvviso, dalla sera alla mattina. Per me che dipingo è come se mi avessero tolto la tela lasciandomi con la tavolozza in mano».
A proposito, ha disegnato in questi mesi?
«Ho scritto un nuovo libro su Vivaldi, sulla musica per cembalo e organo a Venezia. E ho dipinto tanto: in due mesi ho fatto quarantacinque tavole tra acqueforti, disegni e olii, per la maggior parte ritratti e paesaggi. Ho la fortuna di avere il mio studio di pittore proprio sotto casa a Firenze e quindi ho potuto non interrompere questa passione».
Da dove viene questa passione per la pittura?
«Dal mio papà che è un pittore. Dipingo da quando avevo tre anni e non ho fatto nessuna scuola, così come non ho mai fatto un’ora di conservatorio per imparare la musica. Tanto più che il mio papà non mi insegnava nulla e mi dava pochi consigli. Sono autodidatta in tutto: osservavo e copiavo. Penso che nell’arte la mimesi sia fondamentale. Per me lo è stato: andavo al museo a guardare i quadri, a copiarli, osservandoli da vicino a quattro o cinque centimetri di distanza centimetri di distanza sino a far scattare l’allarme. A 14 anni ho fatto in contemporanea la mia prima mostra e il mio primo concerto al flauto».
Che è il suo strumento, tanto che lo suona, oltre a dirigere, anche nel Rinaldo di Firenze.
«Suono il flautino che evoca la voce degli augelletti, una cosa al limite delle forze perché questa pagina arriva dopo l’aria di tempesta d’ingresso di Armida: dopo aver diretto a tutta foga devo prendere il flauto suonare una valanga di notte note ed evocare la pace degli uccellini che cantano».
Händel ha realizzato due versioni di Rinaldo, una nel 1711 e una nel 1731, lei quale ha sul leggio?
«Direi che questo è il Rinaldo nella versione del 1985 di Pizzi, perché mette insieme le due edizioni, prende parti dell’una e parti dell’altra, sposta alcune arie, comunque lo spettacolo risulta drammaturgicamente credibile o godibile. Questo è uno spettacolo storico e va preso così, certo, se oggi dovessi scegliere farei un’edizione o l’altra integralmente. Dovendo scegliere prenderei quella del 1711 di un Händel appena uscito dall’Italia e pieno di ciò che ha fatto e conosciuto a Venezia e Roma e dove il marchio di fabbrica del compositore si riconosce perfettamente».
A Firenze lo dirige con un’orchestra moderna, quella del Maggio.
«Ci conosciamo da molto e quando mi vedono arrivare sanno già cosa chiedo e adattano il loro modo di suonare, la loro pronuncia grazie ad un’intelligenza musicale e stilistica. E questo conta di più che avere tra le mani uno strumento con la corda di budello. Penso che ormai si possa fare una musica storica pre-mozartiana anche con un’orchestra moderna, per avere anche un altro punto di vista. Tanto più che a fare le versioni originali oggi ci sono molti gruppi barocchi di alta qualità. Quando lavoro con il mio ensemble Modo Antiquo sono integralista, cerco un repertorio poco frequentato, partiture frutto di ricerca. Un lavoro che mi prende molto, tanto che di recente ho preso una pausa dalla collaborazione con il Vernacoliere».
Fa un certo effetto pensare a un direttore “integralista” del Barocco alle prese con l’ironia graffiante e colorita del giornale satirico…
«Certo la cifra è molto colorita però ognuno dei collaboratori del Vernacoliere ha il suo stile e può esprimersi come vuole: c’è chi è più triviale, il mio, invece, è un umorismo che fa leva sull’assurdo e sul nonsense: i miei personaggi sono un mago che fa trucchi strampalati, una maestra d’asilo stralunata…».
Nelle foto @Michele Monasta Rinaldo al Teatro del Maggio di Firenze