Daniele Rustioni sul podio e il violino di Francesca Dego nel concerto di apertura con gli archi dell’orchestra Verdi Ottanta concerti tra Milano e Torino con artisti italiani
La sera, quando mancano alcuni minuti alle 21, a Milano (ormai) è già buio. Siamo a settembre. E fuori dal Teatro Dal Verme si fa la coda sotto le luci dei lampioni: mascherina sul viso, telefonino in mano con il biglietto elettronico e via. La sensazione, in via San Giovanni sul Muro, è di tornare indietro di qualche mese, alla notte tra il 14 e il 15 giugno quando, sulla soglia dell’estate, ripartiva la musica dal vivo e i Pomeriggi musicali erano i primi ad aprire le porte di una sala da concerto con Vivaldi e le sue Stagioni. D’accordo oggi in cartellone c’è il festival MiTo, ma lo straniamento, se provi ad ascoltare la musica ad occhi chiusi, è assicurato. Perché la violinista Francesca Dego per il bis che regala dopo un intenso Souvenir d’un lieu cher di Petr Il’Ic Cajkovskij sceglie proprio il Presto dell’Estate di Vivaldi, quasi un saluto alla stagione mentre i temporali prendono il posto dell’afa. Il clima, non quello meteorologico questa volta, è lo stesso di giugno. Perché anche se in sala c’è qualcuno in più si parla sottovoce (le mezzeluci che immergono la platea in una penombra meditativa un po’ influiscono), si cammina evitando di far rumore.
E un po’ il sapore è quello di una malinconica mestizia che non si riesce a tramutare in festa. Che dovrebbe essere grande perché il festival MiTo Settembremusica è partito e lo ha fatto con un programma corposo, interessante, intelligente nonostante sino a qualche settimana fa le incognite (come si può immaginare) fossero molte. Non è colpa di nessuno, ma il sapore di questo ritorno alla musica dal vivo non riesce ad essere fino in fondo di festa. Perché i punri interrogativi che incombono sono ancora molti, perché si capisce che (almeno per un po’) dovremo rinunciare ad ascoltare la musica come eravamo abituati. E non è solo una questione di distanziamento in platea. Perché il distanziamento in orchestra impone un cambio di programma, richiede che sul leggio si mettano partiture per piccoli ensemble, versioni in trascrizione… MiTo ha raccolto (vincendola) la sfida. Ha raccolto le forze per un festival a km zero (un’ottantina di concerti in sedici giorni tra Milano e Torino raccolti sotto il titolo Spiriti), con orchestre del territorio lombardo e piemontese, le zone che da qualche anno hanno stretto un patto culturale per la rassegna che inaugura l’autunno musicale – anche se da calendario si svolge tutta in estate, ma è sempre bello pensarla come una ripartenza, tanto più oggi.
Edizione 2020 aperta a Torino il 3 settembre (quella sera a Milano, in Duomo, risuonava la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi per le vittime del Covid), mentre nel capoluogo lombardo il via sabato 4. Stesso programma, intitolato in modo beneaugurante Futuro, affidato agli archi dell’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi con Daniele Rustioni. Sul leggio una prima esecuzione italiana (caratteristica che il direttore artistico Nicola Campogrande imprime ai suoi programmi), quella di Piligrins, pagina del 1958 di Ned Rorem (origini norvegesi, cresciuto negli Stati Uniti, molto critico nei confronti dello strapotere monopolizzatore della nuova musica incarnata da Pierre Boulez e per questo ostracizzato e relegato ai margini della programmazione). E poi Souvenir d’un lieu cher di Cajkovskij che nella trascrizione per violino e orchestra d’archi di Alexandru Lascae (e nei suoi tre movimenti) diventa una sorta di concerto affidato al talento di Francesca Dego, in perfetta sintonia con il podio… dove c’è il marito, Daniele Rustioni. Che poi affronta con passione e perfetto stile la Serenata in mi maggiore per archi di Antonin Dvorak, che profuma di vecchia Boemia. Profumo nostalgico, un po’ malinconico… come questa ripartenza della musica.
Nelle foto @Lorenza Daverio il concerto inaugurale di MiTo2020 al Dal Verme di Milano
Articolo apparso in gran parte su Avvenire dell’8 settembre 2020