La violoncellista Karoun Baghboudarian nata a Damasco dal 2015 vive in Olanda con il marito in fuga dalla guerra «Suonavamo sotto le bombe mentre i vicini morivano»
La voce di Karoun Baghboudarian è ferma mentre racconta la sua storia. «Con mio marito Rani nel 2015 abbiamo lasciato la Siria». Un attimo di silenzio. «Lo abbiamo fatto per nostro figlio che oggi ha sette anni. Solo per lui, per dargli un futuro lontano dalla violenza e dalle armi». La voce qui si incrina. E gli occhi della violoncellista, velati di una schiva malinconia, guardano oltre. Forse (idealmente) al paese dove è nata, quarantuno anni fa. E dove ha imparato la musica che è diventata, poi, la sua vita. «In Siria torneremo solo quando sarà tutto finito» racconta Karoun davanti ai templi di Paestum. Tracce di un passato che in Italia è conservato per fare memoria. In Siria invece quel passato, un tempo custodito dalle pietre a Palmira, è stato spazzato via dalla guerra e dalla furia distruttrice di chi non accetta le proprie radici, non sapendo che non basta cancellarle dagli occhi per rimuoverle dalla Storia. Radici che scavano, ancora, dentro. «Quando sei stata sotto le bombe, la guerra te la porti sempre dentro», anche lontano da dove si continua a combattere.
In Europa, Karoun Baghboudarian suona nella Syrian expat philharmonic orchestra, formazione che il contrabbassista Raed Jazbeh ha formato riunendo i musicisti siriani sparsi per in Vecchio Continente. A Paestum la Syrian expat si è unita ai ragazzi dell’Orchestra giovanile Cherubini per la nuova tappa de Le vie dell’amicizia di Ravennafestival che Riccardo Muti ha voluto dedicare proprio alla Siria, chiamando a far musica nel sito campano, gemellato proprio con Palmira, i musicisti siriani. Sul leggio la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore di Ludwig van Beethoven. «Sinfonia che per noi è sempre stata l’Eroica per il suo piglio e il suo messaggio» riflette Karoun che suona questa pagina da quando aveva quindici anni. «Da allora l’ho affrontata decine di volte, ma farlo con la bacchetta di Muti è speciale, un’esperienza unica» racconta la violoncellista quarantunenne di Damasco che ha già suonato diretta da Muti. Era il 2004 e il maestro era a Damasco per un altro degli appuntamenti de Le vie dell’amicizia. Karoun era sul palco del Conservatorio (e c’era anche il marito Rani) per la prova aperta con la Quinta sinfonia di Cajkovskij che Muti ha affrontato con i giovani dell’orchestra sinfonica nazionale siriana. «Dal 2003 la dirige mio fratello Missak: i nostri genitori non sono musicisti, ma amano da sempre la musica tanto che io suono il violoncello, mio fratello dirige e un’altra sorella è violinista» racconta Karoun che nel 2004 non solo ha suonato Cajkovskij in Conservatorio con Muti, ma si è fatta scritturare nel coro che nel teatro romano di Bosra ha affiancato i musicisti del Teatro alla Scala nel concerto con pagine dalla Norma di Bellini. «Allora ero giovane, certo capivo che fare musica con il maestro Muti era una grande opportunità per noi. Ma devo dire che solo ora, qui a Paestum, comprendo ancora meglio l’importanza di quell’esperienza».
Poi nel 2011 in Siria è arrivata la guerra. «A Damasco, mentre si combatteva, era difficile fare musica. Provavamo in casa mentre i nostri vicini morivano sotto le bombe. Poi quando mancava l’elettricità suonavamo in cortile, con i vicini affacciati ai balconi. E quando andavo in teatro per le prove e gli spettacoli, con il violoncello sulle spalle, la gente mi guardava stranita come a dire: c’è chi muore e tu vai a suonare? Però i teatri erano pieni e per il pubblico è stato un conforto ascoltare musica mentre c’era la guerra». Karoun chiede alla comunità internazionale «di fare di tutto per fermare la guerra. Non capiamo cosa ci sia dietro, non capiamo perché le cose siano potute andare così trascinandosi dal 2011. Sappiamo che è una questione politica, ma non riusciamo a capire il perché».
Karoun è arrivata a Paestum dall’Olanda dove vive dal 2015. «Io e mio marito siamo musicisti e insegnanti di musica e abbiamo progetti per bambini con un’orchestra giovanile partita con otto ragazzi e nel giro di un anno arrivata a più di cento componenti. Per noi la musica è stata fondamentale per integrarci in Europa e ricominciare la nostra vita dopo aver abbandonato la Siria. Quando ci si sposta dal proprio paese non si deve ricominciare da zero, ma da sotto zero perché la guerra ti segue. In Olanda siamo stati accolti molto bene perché per avere il permesso di soggiorno è bastato sostenere un esame musicale per dimostrare la nostra capacità artistica. Questo dice la potenza del linguaggio universale della musica che ci permette di comunicare con tutti. Un privilegio perché per poter svolgere qualsiasi altra professione devi sempre dimostrare le tue capacità professionali, ma anche e conoscere la lingua. Per la musica basta il linguaggio delle note».
Tra i leggii della Syrian expat philharmonic orchestra Karoun e il marito Rani tornano a parlare la loro lingua. «Siamo una grande famiglia perché tutti abbiamo studiato nell’unico conservatorio che c’è in Siria, quello di Damasco. Suoniamo musica classica a pagine di compositori siriani, dando particolare attenzione a giovani compositori contemporanei». A Paestum, davanti al Tempio di Nettuno Karoun ha sentito la musica della sua terra. L’ha levata, come un grido per chiedere pace, Aynur Dogan, cantante di origine curda. Gli occhi hanno faticato a trattenere le lacrime. «I miei genitori vivono in Siria. Quando li sento loro cercano di essere molto positivi e mi dicono sempre che li va tutto bene perché non vogliono che io mi preoccupi… Ma so che non è così perché quando vivevo ancora lì mio padre faceva lo stesso quando sentiva al telefono i miei fratelli che vivevano negli Stati Uniti. Eppure fuori cadevano le bombe».
Mentre ripone il violoncello nella custodia e chiude la partitura dell’Eroica Karoun pensa al figlio, rimasto a casa in Olanda con il papà. «Se non avessi avuto lui sarei rimasta con mio marito in Siria perché il tuo paese è il tuo posto del cuore, il luogo dove ti senti a casa. E in qualsiasi altro paese tu possa andare, per quanto accolto e felice di ciò che fai, rimani sempre uno straniero».