Lirica e concerti a luglio in un teatro tutto ridisegnato pubblico tra palco e palchetti, la scena nella platea vuota «Ripartiamo dalla nostra storia con Vivaldi e Gabrieli»
Lo sguardo di Fortunato Ortombina, mentre va verso il Teatro la Fenice, è sulla città: campo santa Margherita, il Mercato di Rialto, luoghi nei quali Venezia “vive” all’aperto, «animati, come se il virus non ci fosse mai stato. Ma ci sta anche, è l’istinto naturale di sopravvivenza delle persone» dice. Ma lo sguardo resta dubbioso, perché «non credo affatto che stare seduti in ordine e in silenzio come si sta ad ascoltare l’opera in un teatro sia più pericoloso che andare in un bar a prendere un caffè» dice il sovrintendente e direttore artistico del teatro lirico lagunare convinto che «quello del virus e del contagio più che un problema di luoghi sia un problema di comportamenti». Ortombina poi, però, puntualizza: «Le regole comunque sono queste e noi le osserviamo attentamente perché poi ci sono problemi di responsabilità nei confronti di chi dovesse ammalarsi. Dunque osserviamo attentamente i protocolli sanitari che ci sono stati dati». Ecco allora il progetto per riaprire la Fenice dal 5 luglio con opere e concerti. «Ci avvicineremo a quella data gradualmente, con concerti che trasmetteremo in streaming dal 18 giugno per poi riaprire le porte al pubblico – che ora può già entrare come turista per visitare la sala» dice Ortombina spiegando che «non volevamo perdere questa opportunità che ci è stata data dalle regole e dal governo di riaprire seppure con pochi spettatori e con molte limitazioni sia per il pubblico che per gli esecutori, musicisti, tecnici e cantanti. Cerchiamo di fare in modo che le limitazioni diventino una risorsa per ideare spettacoli con nuove varianti drammaturgiche e poetiche».
In che modo ? E come riparte, sovrintendente Ortombina, la Fenice?
«Riparte presentandosi agli spettatori con un nuovo look, totalmente rivoluzionato che abbiamo rimodulato insieme alle maestranze, ai laboratori e ai tecnici del teatro: platea, buca dell’orchestra e il palcoscenico diventano un unico grande spazio che porta gli spettatori nei palchi e sul palcoscenico su una tribuna che ricorda la chiglia di una nave, un’installazione che evoca un’arca che ci traghetterà tutti in avanti, in un mondo nuovo. Lo spettacolo sarà al centro, in uno spazio circolare in una sorta di Globe. Qui ci saranno i concerti e qui musicisti e cantanti porteranno in scena Ottone in Villa, la prima opera di Antonio Vivaldi, una scelta simbolica: così come fu l’inizio per il compositore, speriamo rappresenti un nuovo inizio per la Fenice, la lirica e i nostri ascoltatori».
Ottone in Villa non era tra i titoli della stagione lirica 2019/2020 che si è interrotta a causa del Covid.
«Esattamente, l’abbiamo pensata e prodotta in questo tempo di pandemia: il cartellone di ventuno titoli, molti dei quali sospesi in questi quattro mesi di chiusura, si arricchisce di un ventiduesimo titolo: Giovanni Di Cicco ha pensato a una messinscena da collocare nel nuovo spazio della Fenice, sul podio ci sarà Diego Fasolis. Era importante che un teatro lirico proponesse un titolo d’opera, non limitandosi solo a concerti che pure ci saranno in questo cartellone pensato per il mese di luglio. Partiamo il 5 luglio con pagine di Giovanni Gabrieli, autore veneziano della scuola di San Marco. Con lui e con Vivaldi abbiamo deciso di ripartire dal patrimonio della Fenice e della città di Venezia: spesso pensiamo di dover noi aiutare il teatro, in questo caso è stato il teatro con la sua storia che ci ha aiutato a pensare la ripartenza».
Gabrieli e Vivaldi, poi Monteverdi, Bach, Haendel, un repertorio ben delineato.
«Quello che le misure di distanziamento ci consentono, sarebbe stato impossibile programmare una Seconda di Mahler o I Maestri cantori di Wagner. Abbiamo la fortuna di essere nel teatro più bello del mondo, nella città più bella del mondo e tra qui, Firenze e Roma agli inizia del Seicento è nata l’opera, dunque giusto ripartire dalle origini. I teatri sono stati i primi a chiudere e si è sempre detto che sarebbero stati gli ultimi ad aprire con una gradualità diversa dalla serrata improvvisa, lo facciamo guardando al pubblico che possiamo ospitare e al repertorio che possiamo realizzare distanziando i musicisti anche due metri, ma evitando di far indossare loro la mascherina, anche per non dare l’idea che un pericolo c’è ed è associato ad un luogo come il teatro».
I mesi di chiusura del coronavirus arrivano dopo un inizio di stagione difficile, quando l’alluvione aveva messo a rischio la prima con il verdiano Don Carlo.
«In termini economici la pandemia rappresenta un disastro totale. Noi, come ilo Teatro alla Scala, abbiamo un 33% delle risorse che arrivano dalla biglietteria che vuol dire 11 milioni di euro l’anno: di questi 11 ne abbiamo già persi 8. Si fa presto a capire le dimensioni del disastro».
La politica, seppur con qualche ritardo, ha promesso un sostegno per la cultura.
«Siamo in costante contatto con il governo sia come Fenice che come Anfols, l’associazione che riunisce le fondazioni lirico-sinfoniche. Stiamo aspettando, oltre a quelli del Fus, i contributi stanziati per l’emergenza con il decreto Rilancio, contributi che, però, devono essere ancora ripartito. Per ora è un andare avanti giorno per giorno e in questo siamo stati molto aiutati dal governo che ogni volta ci dava decreti e regole ogni quindici giorni, costringendoci a pensare la sera cosa avremmo fatto la mattina. Certo, la strategia è quella di tenere in vita una resistenza continua che è fatta di progetti artistici sostenibili perché mai come adesso dobbiamo mirare alla sostenibilità, dobbiamo fare quello che riusciamo a fare con 300 spettatori, poi gli spettatori diventeranno 600 e faremo quello che potremo fare con 600 spettatori: è l’unica maniera di tutelarci dallo spettro della crisi e ottenere il pareggio di bilancio, il faro che ci guida nella gestione. Non vorrei che tra un anno qualcuno allargasse le braccia e dicesse: “in questo paese con milioni di disoccupati 13 fondazioni liriche sono troppe”, prendendo l’occasione per ridurne il numero».
Come evitarlo?
«È importante ripensare completamente ad una strategia sia per il pubblico che per i sostenitori che in questo momento non ci hanno mai lasciati soli. Lo deve fare una città come Venezia che non ha mai avuto problemi, ha sempre avuto un grandissimo apporto dal turismo non dovendo mai fare nulla per accaparrarsi giorno per giorno tale ricchezza. Su questo aspetto Venezia ha sempre vissuto di rendita tanto che anche quando c’è l’acqua alta, un evento drammatico per i danni che provoca, ci sono turisti che arrivano apposta per farsi fotografare con i piedi nell’acqua. Ora dobbiamo pensarci tutti diversamente, dobbiamo trovare idee per restituire una Venezia diversa da prima, una città anche più conscia del proprio valore e che sia portata un po’ meno a vivere di rendita».
Spazio ripensato, distanze tra gli spettatori, ma anche in scena. Torneremo a fare l’opera così come eravamo abituati sino a febbraio?
«Ci si tornerà perché in qualunque sciagura c’è un istinto naturale della gente a cercare di ritrovare una normalità. È avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale, ma anche dopo la Prima guerra mondiale alla quale seguì subito la famosa spagnola: la Fenice fu chiusura per la guerra e il fronte sul Piave e per l’epidemia, riaprì dopo cinque anni, nel 1920, con il Faust di Gounod, opera che dovevamo fare a maggio per ricordare quel centenario… Io credo che la gente tornerà e ci saranno sempre molte persone che avranno voglia di vedere la Bohème con la regia di Zeffirelli alla Scala con duecento persone in scena nel quadro del Caffè Momus. Accadrà, ma non penso prima di due o tre anni».
Come state lavorando alla programmazione della prossima stagione?
«Siamo riusciti a recuperare alcuni titoli come l’atteso Roberto Devereux di Donizetti che doveva andare in scena in questi giorni. È importante perché tutte le opere annunciate sono state progettate, abbiamo fatto investimenti, coproduzioni, abbiamo scritturati gli artisti che sono a casa da mesi. Un impegno nei loro confronti e nei confronti del pubblico ci vedrà recuperare la prossima stagione alcuni allestimenti saltati in questi mesi, spostando nel cartellone 2021/2022 titoli già fissati per il prossimo anno. Naturalmente cerchiamo di essere molto cauti perché la cosa che dobbiamo aver imparato da questa crisi è farea attenzione agli investimenti per evitare di cancellare il giorno prima spettacoli sui quali si è investito molto: ci posso essere nuovo focolai e dobbiamo essere consapevoli del fatto che il virus non è ancora sconfitto».
La nuova disposizione del Teatro La Fenice di Venezia,
pubblico tra palco e palchetti, lo spettacolo nella platea svuotata
Il programma di luglio
Prima i concerti in steraming sul sito del teatro. Visita qui il sito della Fenice di Venezia. Poi dal 5 luglio si riaprono le porte per il pubblico. Protagonisti del primo appuntamento del cartellone del cartellone ridisegnato dal sovrintendente e direttore artistico Fortunato Ortombina, gli ottoni dell’orchestra e i coristi veneziani impegnati in un programma che si apre con Fanfare for a common Man di Aaron Copland e prosegue con pagine di Claudio Monteverdi, Giovanni Gabrieli e Johann Sebastian Bach. Il 9 e il 10 luglio spazio a Haendel con Diego Fasolis che dirigerà la Water Music e la Royal Fireworks Music. Sempre con Fasolis sul podio tornerà l’opera: dal 10 al 15 luglio un nuovo allestimento di Ottone in Villa di Antonio Vivaldi con la regia di Giovanni Di Cicco, le scene di Massimo Checchetto e i costumi di Carlos Tieppo. Cantano Giulia Semenzato, Sonia Prina, Lucia Cirillo, Giuseppe Valentino Buzza e Michela Antenucci. Il 16 luglio pagine di Richard Strauss e Wolfgang Amadeus Mozart, il 17 luglio ancora Vivaldi proposto insieme a Tomaso Albinoni. Chiusura con due concerti vocali: il 22 luglio il basso Alex Esposito proporrà una carrellata di suoi personaggi da Mefistofele a Don Giovanni sino al Nick Shadow di The Rake’s Progress di Stravinskij; il 23 serata tutta verdiana con le voci del tenore Francesco Meli e del baritono Luca Salsi.