Il sindaco Appendino chiede un commissario ministeriale per ripianare i 2,3 milioni di euro di passivo di bilancio Indagato l’ex sovrintendente Graziosi voluto dai 5stelle
L’imminente commissariamento del Teatro Regio di Torino per l’impossibilità di ripianare il bilancio apre scenari complessi per il futuro della lirica in Italia. E il coronavirus questa volta non c’entra. O meglio, è “solo” un carico ulteriore che si va ad aggiungere ad una situazione (economica, ma non solo) già intricata che, prima o poi, sarebbe comunque scoppiata. Il bilancio consuntivo 2019 del Regio presenta un passivo di 2,3 milioni di euro, «una situazione non ripianabile alla luce dell’attuale contesto» spiega il sindaco di Torino, nonché presidente della fondazione lirica, Chiara Appendino invocando il commissariamento. Un buco (non certo creatosi negli ultimi mesi di chiusura, ma pregresso) che le fondazioni bancarie, soci fondatori del Teatro Regio, non sarebbero ora in grado di colmare per gli impegni finanziari che hanno dovuto mettere in campo per l’emergenza Covid.
Ecco allora quello che il sindaco Appendino definisce «un intervento inevitabile» e che per il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio è una «scelta forte, un segnale di netta discontinuità con il passato che in questo momento solo un commissario può garantire». Parole che hanno un peso. E che possono aprire scenari di burocratizzazione dei teatri lirici. Perché la tentazione di altre fondazioni (o meglio, della politica che le gestisce), potrebbe essere quella di seguire la scelta torinese. Fondazioni già alle prese con la necessità di far quadrare i conti e che ora hanno l’incognita delle perdite legate alla chiusura forzata a causa del coronavirus, non potrebbero scegliere di imboccare anche loro la via del commissariamento? Scelte forti, uomini soli al comando con pieni poteri per rimettere i conti a posto. Sarebbe una ricetta per provare ad uscire indenni dalle conseguenze della pandemia che ha chiuso le biglietterie e che inevitabilmente inciderà sui contributi che gli sponsor (anche loro colpiti dalla crisi) garantiscono annualmente ai teatri.
Ma può bastare questo? Può essere il commissariamento la strada giusta? O meglio, unica strada percorribile? Tanto più che la scelta di azzerare i vertici e dare tutto in mano a un commissario ministeriale che deve ripianare i bilanci, rappresenta sicuramente il fallimento di una classe dirigente del settore culturale in Italia, classe che risulta ancora (troppo) legata alla politica.
Prendiamo il caso Torino (ma gli esempi di come la politica – di sinistra o di destra, senza distinzione – voglia dire la sua sulla scelta dei vertici delle istituzioni culturali potrebbero moltiplicarsi) dove il commissariamento del Regio chiesto dal sindaco Appendino (e auspicato anche dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio), arriva in contemporanea con la notizia dell’indagine a carico dell’ex sovrintendente William Graziosi, legato a doppio filo alla politica. Graziosi venne messo nel 2018 ai vertici del Regio proprio dalla Appendino e dai Cinque stelle dando il benservito allo storico sovrintendente (che nei suoi 19 anni di gestione aveva portato il Regio ad essere un teatro d’eccellenza) Walter Vergnano. Graziosi, che dopo solo un anno di gestione ha lasciato il posto a Sebastian Schwartz (che ora, con la richiesta di commissariamento, inevitabilmente decadrà, ma potrà restare come consulente artistico), è finito nel mirino del procuratore aggiunto torinese Enrica Gabetta e della pm Elisa Buffa che lo hanno indagato per corruzione, abuso d’ufficio e turbativa d’asta insieme ad altre tre persone. L’inchiesta della Procura sabauda vuole far luce sul meccanismo di scritturazione degli artisti: in seguito ad alcune perquisizioni della Guardia di finanza sarebbe stata accertata la crescita di fatturazione di un’agenzia artistica con sede in Svizzera con la quale Graziosi aveva un rapporto privilegiato. Meccanismo che a qualcuno era già risultato evidente leggendo le locandine e che ora gli inquirenti non escludono possa essere avvenuto anche in altri teatri dove Graziosi ha lavorato prima di arrivare a Torino. Prassi consolidata, potrebbe far notare qualcuno, quella delle agenzie di lavorare a stretto contatto con i teatri per piazzare i propri artisti nei cartelloni. Lecita, certo, nelle logiche di normali trattative di lavoro… sino a che non si ipotizzano reati, come ora la Procura di Torino cerca di dimostrare con le indagini.
Un duro colpo anche di immagine per i Cinque stelle, da sempre sulle barricate (specie prima di sedersi in Parlamento) per la difesa dell’onestà, della meritocrazia e dell’uno vale uno. Tanto più che nel mirino degli inquirenti c’è anche la stessa procedura di nomina di Graziosi alla sovrintendenza del Regio. E certo, a saltare, in uno scenario simile, è proprio la meritocrazia, il valore artistico che rischia di passare in secondo piano. Basterà un commissariamento a risolvere tutto questo?
Nella foto @Ramella e Giannese il Teatro Regio di Torino