Il sovrintendente dell’Opera di Roma pensa alla ripartenza Piazze e scavi, uno scenario naturale per la lirica all’aperto
«Da una settimana l’Italia è entrata nella fase due, ma i teatri sono ancora nel pieno della fase uno: tutto chiuso, tutti a casa, sipario abbassato e nessuna certezza su quando potremo tornare a fare spettacoli». Un timido spiraglio da parte del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile che, valutando i dati epidemiologici, ha espresso un parere sulla possibilità di riaprire teatri, cinema e musei dalla prima settimana di giugno. Ma le variabili sono molte. E le incognite restano. Non si spaventa, però, Carlo Fuortes, sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma. «Non ci arrendiamo. In momenti come questi è bene provare a lavorare su progetti che nelle situazioni normali non si possono fare. Resilienza è la parola d’ordine di questa fase nella quale immaginiamo un futuro per la lirica che, inevitabilmente, dovrà essere diverso al passato. Perché – spiega Fuortes – se non lo fosse vorrà dire che non avremo imparato nulla da questo periodo drammatico».
Quale la lezione, Carlo Fuortes, che il mondo dello spettacolo italiano può trarre da questo tempo sospeso a causa del coronavirus?
«Penso che si debba ripensare tutto il nostro settore. Lo diciamo da tempo e questa può essere l’occasione giusta. Il nostro fare musica classica e lirica deve essere considerato sempre di più un servizio pubblico. E spetta a noi impegnarci per conseguire l’autorevolezza necessaria per esserlo davvero. Certo la pima cosa è ripartire, al più presto».
Come farlo? Quando farlo?
«Tutto dipenderà dai vincoli e dalle norme che verranno messi da politica e autorità sanitarie per la nostra fase due. Noi dobbiamo essere pronti. Certo, se a tutti i lavoratori indistintamente sarà chiesto di indossare mascherine e guanti è chiaro che non si potrà tornare a fare musica. Il coro può cantare con le mascherine? Possono suonare i fiati con le mascherine o i violini con i guanti? Occorrerà trovare modalità diverse. Per intanto lavoriamo ad ipotesi che sino a quando non ci sarà una certezza delle regole per la ripresa (spero che per il settore dello spettacolo arrivano entro due o tre settimane) restano tali».
A cosa pensa?
«La strada in questa fase può essere quella della musica all’aperto. Certo, non nei grandi spazi dove il rischio assembramento è in agguato. Con ogni probabilità salterà la stagione estiva di Caracalla perché occorrono tempi lunghi, almeno 45 giorni, per realizzare la struttura con palco, platea, servizi accessori. E siamo già al limite. Ed è difficile immaginare come gestire in sicurezza e riempire una platea da 4500 posti, in gran parte turistica quando il turismo è fermo».
Dove e con chi fare musica all’aperto, allora?
«Peno alle piazze di Roma dove invitare i cittadini che in estate resteranno a casa o i primi turisti che proveranno a venire in città. Le piazze romane offrono scenografie naturali uniche al mondo, così come i numerosi siti archeologici: potremmo sfruttarli, sempre nel rispetto delle norme che ci indicheranno. Questa sarebbe la cosa più bella. Se invece un progetto del genere non sarà attuabile abbiamo un’altra risorsa: l’Opera di Roma ha da qualche anno avviato l’esperienza di OperaCamion con il regista Fabio Chertich, un tir che gira portando gli spettacoli lirici in periferia, ora potrebbe essere usato come palcoscenico itinerante in tutta la città».
E dopo l’estate?
«La speranza è quella di rientrare in teatro a ottobre e riprendere con la stagione che avevamo programmato. Se non fosse così occorrerà ridisegnare il cartellone».
Quella dello streaming potrebbe essere una strada percorribile?
«Lo streaming, uno strumento che sino a qualche tempo fa in Italia era poco considerato, sarà sicuramente uno dei lasciti di questo periodo. Penso che in futuro ci sarà sempre di più teatro digitale. Certo deve essere uno strumento parallelo allo spettacolo dal vivo e non potrà mai sostituirlo, nemmeno dal punto di vista economico».
Quanto sta costando questo stop forzato alle casse dell’Opera di Roma?
«Se riusciremo a ripartire tra settembre e ottobre avremo una perdita di 12 milioni e mezzo di euro (se lo stop si protraesse la cifra inevitabilmente aumenterebbe) dovuto principalmente ai mancati incassi della biglietteria che quest’anno passeranno dai 15 milioni delle ultime stagioni, a 3 o 4 milioni di euro. Peserà la mancata stagione di Caracalla e peserà la contrazione dei contributi di alcuni sponsor».
Nei discorsi della politica di queste settimane, nei decreti governativi la parola cultura sembra essere la grande assente.
«Siamo in costante contatto con il governo che ha messo a disposizione del settore dello spettacolo strumenti come la cassa integrazione, che prima d’ora i lavoratori dell’Opera non avevano mai sperimentato. Provvedimenti che per quest’anno mettono in sicurezza i conti delle fondazioni lirico-sinfoniche. Ma l’anno difficile per i bilanci sarà il 2021 quando non ci saranno più gli aiuti governativi e quando dovremo fare i conti con incassi della biglietteria che non saranno più quelli di prima. Ecco l’importanza di progettare, di fare proposte – come Anfols e Agis abbiamo fatto pervenire al governo le nostre idee per le best practices – e di essere resilienti».