La sera di Pasqua il tenore nel Duomo di Milano vuoto Oltre 37 milioni le visualizzazioni dell’evento su YouTube
Qualcuno, inevitabilmente, storce il naso. Ma non c’è storia, l’evento ha colto nel segno, il messaggio è arrivato. E non è solo per gli oltre 37 milioni (per ora) di visualizzazioni su YouTube. L’immagine di Andrea Bocelli che canta, accompagnato solo dalle note dell’organo di Emanuele Vianelli, nel Duomo di Milano deserto, inutile negarlo, è un’immagine potente. Ha la stessa forza evocativa e mediaticamente penetrante di quella di Papa Francesco che percorre da solo una piazza San Pietro vuota. A Roma la pioggia, quasi un ripiegamento del mondo sotto il peso della croce, l’ostensorio pesante tra le mani di Francesco nel mostrare al mondo il corpo di Cristo; qui a Milano un raggio di luce filtrata dalle vetrate del Duomo, colorata e calda nel crepuscolo di Pasqua.
E non ci sono stonature o note calanti (emozione a fior di pelle) che possano sminuire questa forza. E, ancora di più, quella dell’altra immagine che resta impressa alla fine della mezz’oretta di streaming su YouTube, quella del tenore toscano che si incammina, solo, nella navata centrale della cattedrale ambrosiana ed esce sulla piazza. Vuota. Il portone di bronzo si chiude alle sue spalle e Bocelli, senza musica, sempre solo, intona Amazing Grace. Non un testo sacro come lo erano stati prima il Panis Angelicus, l’Ave Maria o il Domine Deus, ma un inno (di John Newton) ispirato certo ai testi sacri, una preghiera diventata nel tempo un canto popolare, cavallo di battaglia di stelle del pop – e anche qui la delicatezza di Bocelli di aver riservato i testi liturgici alle navate della chiesa e di aver cantato Amazing Grace sul sagrato, un messaggio al mondo mentre scorrevano le immagini di Londra, Parigi, New York e Milano deserte.
Il volto segnato dal tempo. I capelli grigi. Andrea Bocelli canta, anzi, prega, per il mondo provato dalla pandemia di Coronavirus. Lo fa nel giorno di Pasqua, il giorno che celebra il trionfo della vita sulla morte con la Resurrezione di Cristo. Lo fa al tramonto, momento evangelicamente evocativo – la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato i discepoli di Emmaus incontrano Gesù e lo riconoscono nello spezzare del pane. Lo fa a Milano, cuore della Lombardia dove tutto è iniziato, terra che sta pagando un prezzo altissimo di vite. Lo fa in Duomo, invitato dalla città a far risuonare una Musica per la speranza, Music for hope: il Panis Angelicus di Cesar Franck, l’Ave Maria sulle note di Johann Sebastian Bach e quella sull’Intermezzo della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, il Domine Deus dalla Petite messe solennelle di Gioachino Rossini.
Pagine accompagnate solo dall’organo, lo strumento della liturgia. Poche prove. E per un cantante come Bocelli, abituato ad esibirsi con un’orchestra, non deve essere facile trovare su due piedi un’intesa con l’organo. E se qualche nota calante c’è – non dimentichiamoci come Luciano Pavarotti, e la citazione non è casuale, riusciva a stravolgere capolavori del rock e del pop quando duettava con i suoi friends della musica leggera – e se qualche acuto tirato lo si avverte – ma di fronte a un momento come questo la recensione tecnica non ha senso, altrimenti si potrebbe citare il lunghissimo filato in dissolvenza del finale dell’Ave Maria sulle note di Mascagni – non conta. Perché il significato va oltre l’esecuzione tecnica. Ed è lo stesso di tutte le liturgie che in questa quaresima e in questa Pasqua abbiamo celebrato e stiamo celebrando, di quelle che celebreremo: qualcuno che canta (che prega) per un pubblico (per i fedeli) che non è fisicamente presente. Ma c’è. E avverte, anche a distanza, l’intensità del momento.
Certo, le immagini sono confezionate ad hoc, per emozionare: musica sulle vedute delle nostre città vuote, che vivono anche senza di noi, ma che ci attendono. Certo Bocelli è un “prodotto” pop che funziona, capace di appassionare con il suo canto lirico anche chi la lirica non sa nemmeno cosa sia, ma questa è anche la sua forza, quello che è stato vincente in questa operazione che non sarebbe stata la stessa se in Duomo ci fosse stato il seppur più famoso interprete di musica classica del mondo di tutti i tempi. Non solo. L’operazione è riuscita perché ciò che arriva nel canto che si fa preghiera ha un sapore autentico perché Bocelli, da sempre, è un artista che, specie quando interpreta musica sacra, riempie di significato la parola, le restituisce nel suo essere preghiera, risposta dell’uomo a Dio. Parola che, nel Duomo vuoto in questa Pasqua di quarantena, incrinata da una qualche incertezza, sporcata da una qualche stonatura si è fatta ancora più vera, più umana. Si è fatta preghiera.
Nella foto @Ansa Andrea Bocelli nel Duomo di Milano