Il celebre e amato soprano si è spento a Modena a 84 anni L’amicizia con Pavarotti e il debutto a 19 anni in Carmen dando poi voce alle grandi eroine di Verdi e di Puccini Mezzo secolo di carriera dalla Scala al Met di New York diretta da Karajan, Giulini, Kleiber, Pretre, Abbado e Muti
Rispondeva sempre lei al telefono di casa – la casa di Modena – con la sua voce squillante e inconfondibile. Quella voce con la quale, cantando la Mimì della Bohème di Puccini o la Micaela della Carmen di Bizet, ha fatto innamorare dell’opera centinaia di migliaia di persone. Con la quale ha stregato generazioni di melomani per i quali era «la Mirella». Con l’articolo determinativo davanti e senza il cognome. L’unica Mirella della lirica. «Mia mamma mi ha sempre raccontato che quando avevo due anni e alla radio c’era l’opera io lasciavo i giochi e mi mettevo ad ascoltare. E quando a 5 anni mi chiedevano che cosa avrei fatto da grande dicevo sicura la cantante d’opera» raccontava Mirella Freni, morta domenica 9 febbraio, nel pomeriggio, nella sua casa di Modena, la sua città, dove era nata nel 1935: ancora qualche giorno e avrebbe compiuto 85 anni, il prossimo 27 febbraio. «Si è spenta dopo una lunga malattia degenerativa circondata dai suoi familiari: la figlia Micaela, i nipoti Gaia e Mattia, il cognato Matteo, la sorella Marta e la sua amica di sempre Fausta» ha annunciato con profonda tristezza il suo storico manager Jack Mastroianni.
La camera ardente mercoledì mattina al Teatro Comunale di Modena e alle 14,30 i funerali in Cattedrale, dove vennero celebrate anche le esequie di Luciano Pavarotti.
«I miei sono sempre stati appassionati di musica e anche pochi giorni prima che io nascessi erano in teatro ad ascoltare l’opera» ci aveva raccontato la cantante lirica in occasione dei suoi ottant’anni quando il Teatro alla Scala – teatro dove aveva cantato per la prima volta nel 1962 come Nannetta nel verdiano Falstaff e che le ha dedicato un minuto di silenzio prima della seconda recita del verdiano Trovatore – l’aveva festeggiata con una serata di ricordi. «Avevo uno zio, il fratello di mia mamma, che amava tanto l’opera, suonava il piano e mi insegnava alcune arie. Cantavamo così per gioco. Poi la passione è cresciuta e mi sono messa a studiare seriamente» ricordava ancora andando con la mente alla sua città, Modena. Dove ha sempre vissuto e dove è sempre tornata dopo aver raccolto successi in tutto il mondo. Dove aveva debuttato nel 1955 nella Carmen di Bizet sul palco del Teatro Comunale che oggi è intitolato all’amico di sempre e “fratello di latte” Luciano Pavarotti, allevati dalla stessa balia, entrambi nati nel 1935.
«Ero giovanissima, avevo 19 anni, ero molto emozionata e carica di quell’entusiasmo che hanno i giovani debuttanti. Mi sembra di rivedere il Comunale pienissimo. E di sentire l’affetto della mia città, il calore dei miei amici loggionisti che dalla galleria facevano il tifo per me. Sin da ragazza ho sempre frequentato il loggione e loro mi volevano un gran bene» ricordava la Freni che interpetava Micaela. «Un ruolo che divenne subito un mio cavallo di battaglia, che ho cantato in tutto il mondo» raccontava. Un ruolo che ha sempre portato nel cuore tanto da chiamare Micaela la figlia (che ha raccontato in un libro, La bambina sotto il pianoforte, la sua storia e quella della sua famiglia) avuta dal primo marito, il maestro Leone Magiera che l’ha subito ricordata con un post su Facebook. «È stata mia moglie per più di venti anni e insieme abbiamo cresciuto nostra figlia Micaela. In questo momento di grande tristezza ricordo i tanti anni trascorsi insieme, pieni di speranze e di studio. E ricordo il periodo passato con Herbert von Karajan, l’esperienza più significativa ed emozionante della nostra comune vita artistica. Non dimenticherò mai il grande e precoce talento di Mirella che abbiamo forgiato insieme fin dall’età di 14 anni e che l’ha portata a raggiungere grandi traguardi artistici in tutto il mondo» ha scritto.
I due si erano conosciuti sui banchi di scuola, quando lui era il pianista accompagnatore dell’insegnante della Freni, il baritono Gigi Bertazzoni. L’altro insegnante della Freni fu Ettore Campogalliani che ne forgiò la vocalità preparandola, insieme a Magiera, per un personaggio che segnerà indelebilmente la sua carriera, Mimì della Bohème: il debutto nel 1958 al Regio di Torino. Poi, per dedicarsi alla famiglia, la Freni decise di stare per tre anni lontana dalle scene senza timore di interrompere una carriera che stava prendendo il volo. Scommessa vinta perché il ritorno sulle scene a Glyndebourne cantando Susanna nelle Nozze di Figaro di Mozart fu un trionfo.
Pomeridiana domenicale di una Carmen a metà degli anni Sessanta al Teatro alla Scala. A chi faceva la fila davanti al suo camerino per complimentarsi con lei e chiederle un autografo – i selfie ancora non si usavano – Mirella Freni offriva i confetti della prima comunione di sua figlia Micaela. Istantanea di un tempo (raccontata dalla mia mamma che quei confetti li aveva assaggiati e che oggi conserva ancora gelosamente la foto con l’autografo della Mirella) che dice il carattere semplice e immediato della Freni. Quello che metteva nei personaggi che portava in scena, scelti con cura, a misura della sua voce limpida e impastata di quel colore emiliano inconfondibile.
«Ho amato tutti i personaggi che ho interpretato, qualcuno, certo, forse un po’ di più perché mi assomigliava caratterialmente, ma mi è difficile sceglierne uno, sarebbe come chiedere a una madre quale dei suoi figli ama di più» diceva. E sono stati decine e decine i ruoli che la Freni ha portato al successo diretta dalle maggiori bacchette del Novecento da Herbert von Karajan a Carlo Maria Giulini, da Carlos Kleiber a Georges Prêtre, da Calaudio Abbado a Riccardo Muti e accanto a voci come quelle dell’amico Luciano Pavarotti, di Placido Domingo, José Carreras. Ruoli verdiani come Elisabetta nel Don Carlo, Desdemona in Otello, Amelia nel Simon Boccanegra in un’indimenticabile edizione scaligera con la bacchetta di Claudio Abbado e la regia di Giorgio Strehler. Quelli del repertorio belcantistico come Adina nell’Elisir d’amore Norina nel Don Pasquale di Donizetti o Elvira nei Puritani di Bellini. Ma anche il Verismo con Adriana Lecouvreur e Fedora, ruolo con il quale nel 1996, diretta da Gianandrea Gavazzeni, si congedò dalle scene della Scala dove tornò poi, nel 1996, per il concerto che Riccardo Muti diresse a cinquant’anni da quello con il quale Arturo Toscanini riaprì il teatro ricostruito dopo i bombardamenti della guerra commuovendo con un intenso In quelle trine morbide dalla Manon Lescaut.
Tanto Puccini, naturalmente: Manon, Tosca, Madama Butterfly (resta traccia della sua arte nelle incisioni con Giuseppe Sinopoli). E naturalmente Mimì. «Non dimenticherò mai il debutto alla Scala nell’allestimento di Zeffirelli, che il teatro ha ancora oggi in repertorio. Sul podio c’era Herbert von Karajan e da lì iniziò un sodalizio artistico durato più di vent’anni. Era il 1963 e per me si aprirono le porte di tutti i teatri del mondo. Una di quelle serate magiche che restano impresse nel cuore» ricordava. Un personaggio, quello della triste eroina di Puccini, che la Freni ha cantato in tutto il mondo, celebrando nel 1996 al Regio di Torino i cento anni della prima della Bohème che debuttò proprio nel teatro del capoluogo piemontese.
Nel 1981 il secondo matrimonio, con il basso russo Nicolai Ghiaurov. «Gli sono stata accanto sino all’ultimo, quando è scomparso nel 2004. Era tanto orgoglioso di quello che facevo» diceva commuovendosi ogni volta nel ricordare l’uomo e l’artista con il quale aveva diviso più di vent’anni di vita e di palcoscenico.
Nessun rimpianto. «Conoscendo bene le mie possibilità, quelle che erano le qualità della mia voce, cosa potevo e non potevo fare, non ho neanche cercato tanto di avventurarmi in altri ruoli. Ho sempre avuto un grande rispetto della mia voce. E sono soddisfatta di quello che ho fatto anche perché ho fatto tanto. Lo dico con molta serenità» raccontava. Nel 1960 il debutto al Covent Garden di Londra con il verdiano Falstaff. Nel 1965 con Bohème la prima volta al Metropolitan di New York. Nel 1970 al Festival di Salisburgo è Desdemona nell’Otello di Verdi. La Freni negli ultimi anni di carriera si era dedicata a Cajkovskij con Evgenij Onegin, La dama di picche e La pulzella d’Orléans, titolo quest’ultimo che scelse nel 2005 per il ritiro dalle scene a Washington.
Una carriera durata cinquant’anni, premiata dagli applausi del pubblico, ma anche da riconoscimenti ufficiali: la Legione d’onore della Repubblica francese, le Chiavi della Città di New York e il cavalierato di Gran Croce della Repubblica italiana. Chiuso il sipario si aprì un periodo dedicato all’insegnamento per formare le nuove generazioni di cantanti lirici e per trasmettere loro «l’entusiasmo che avevo al debutto e che mi accompagna ancora oggi, la serietà, l’onestà sul lavoro, la capacità di mettersi sempre in discussione e di sapere anche dire dei no. Questo, forse, il “segreto” della mia carriera» le ultime parole che ci aveva detto al telefono. Al quale, da qualche tempo, segnata dalla malattia, non rispondeva più.
Articolo pubblicato anche sul quotidiano Avvenire