Gounod per il debutto lirico a Milano di Lorenzo Viotti Dramma riletto da Sher come un film di cappa e spada Damrau e Grigolo sono gli amanti shakespeariani
Un po’ Pirati dei Caraibi e un po’ serie tv in costume. Un po’ avventura e un po’ racconto di maniera, bello da vedere, ma nient’altro. Sicuramente molto poco Roméo et Juliette. Forse per nulla Roméo et Juliette. Perché il Settecento scelto da Bartlett Sher per la sua regia dell’opera di Charles Gounod c’entra poco o nulla con il drammone di William Shakespeare: nulla aggiunge al racconto e non serve a far capire meglio i fatti o a svelare pieghe inesplorate di una vicenda che tutti – per via delle mille riletture che ha avuto, dal musical al cinema ai fumetti – conoscono.
Già Gounod (e i librettisti Jules Barbier e Michel Carré) fa un bigino dell’intreccio shakespeariano rendendolo ancor più zuccheroso (diciamo francese?). Sher nel suo spettacolo (nato per Salisburgo, passato dalla Scala, approdato a New York e ora tornato alla Scala) trasforma la tragica vicenda amorosa in un racconto di cappa e spada – tanto che sopra la buca dell’orchestra c’è una rete per evitare che elementi di scenografia durante i concitati duelli possano cadere dal palco e colpire qualche musicista. Perché? Non si capisce. Recitazione tutta esteriore e affettata, grande lavoro di sartoria per i costumi carnevaleschi di Catherine Zuber, scene da studios cinematografici di Michael Yeargan per un kolossal lirico che funziona alla perfezione nell’incastrarsi delle scene l’una nell’altra (quasi in dissolvenza cinematografica), nel ritmo che non dà tregua, nella compiutezza estetica (a volte anche furba e ammiccante) di alcuni quadri d’insieme. Un telo che fa da tenda e poi da lenzuolo nel quale i protagonisti si avvolgono melodrammaticamente e il gioco è fatto. Grande mestiere, certo, ma lo specifico del Roméo di Gounod non si trova.
Stesso discorso per la direzione di Lorenzo Viotti, musicista in ascesa dopo studi a Vienna e una militanza come percussionista in buca alla Staatsoper, nominato direttore musicale della Netherlands philharmonic orchestra e della Dutch national opera di Amsterdam e atteso al suo debutto operistico alla Scala: il direttore d’orchestra svizzero (origini italiane, però, le sue) sale sul podio scaligero alla vigilia dei suoi trent’anni. Lo fa con il piglio spavaldo che sfoggia sui social, nelle foto che corredano le numerose interviste in cui racconta di come alterni lo studio della musica al crossfit in palestra. Grande copertura mediatica per un debutto che non fallisce, certo, ma non lascia nemmeno un segno forte: Viotti governa diligentemente orchestra e palco nell’incedere della partitura (ma ogni tanto il coro gli sfugge di mano) che risuona, però, stilisticamente un po’ anonima, senza un carattere preciso (francese, diremmo?), senza una lettura e un’interpretazione marcata. Il suono è bello (a volte forse troppo forte in alcuni slanci che rischiano di fagocitare alcune voci), le dinamiche fluttuanti (lento il tempo staccato per Je veux vivre, vertiginoso quello delle scene corali concitate), ma l’impressione è che manchi sempre qualcosa per afferrare il cuore della partitura.
Sul palco il gigioneggiare – o grigoleggiare – di Vittorio Grigolo sembra quasi meno marcato del solito, ma forse l’impressione è perché tutto nello spettacolo di Sher tende al melodrammatico. Grigolo – che nelle uscite finali fa il suo show tira-applauso prendendo in braccio e facendo roteare la Giulietta/Damrau – ha una voce che indubbiamente affascina e una musicalità che ben si adatta alla scrittura di Gounod: il suo è un Roméo convincente sul piano musicale, troppo monocorde e spostato su una meditata maturità su quello interpretativo, forse. Così come la Giulietta di Diana Damrau: artista di primordine, tecnica infallibile che sa modulare una voce che forse sta mutando e non è più adattissima per il ruolo, il soprano tedesco mette la sua maturità artistica nel raccontare i tormenti adolescenziali di Giulietta riuscendo ad emozionare nella drammatica scena finale. Alla prima Frère Laurent era un autorevole Dan Paul Dimitrescu (arrivato a sostituire Nicolas Testé, andato poi regolarmente in scena nelle repliche), Mercutio un puntuale Mattia Olivieri, Stéphano Marina Viotti (sorella del direttore) corretta nell’unica aria che Gounod riserva al suo personaggio, Tybalt Ruzil Gatin dalla voce luminosa e ammaliante, Gertude la sempre applaudita Sara Mingardo.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Roméo et Juliette