Strana chimica quella che si crea a volte nella musica. Ad esempio, il Beethoven di Riccardo Chailly. Quello che il direttore musicale del Teatro alla Scala ha deciso di mettere sul leggio in questa stagione proponendo l’integrale delle sue Sinfonie con l’orchestra scaligera, la Filarmonica e i musicisti dell’Accademia. La Seconda sinfonia in re maggiore e la Terza in mi bemolle maggiore, l’Eroica, proposte nella serata inaugurale della stagione della Filarmonica, erano passate un po’ in secondo piano: esecuzione corretta, pulita. Non entusiasmanti, a detta di qualcuno. Forse perché la scelta di Chailly di proporre le pagine con i metronomi originali di Beethoven non era ancora stata assimilata appieno dagli orchestrali. Che in questo nuovo appuntamento appaiono quasi trasfigurati.
Stagione sinfonica del teatro, tre repliche del concerto (e non una sola data come nel cartellone della Filarmonica) e dunque un maggior rodaggio: sul leggio l’Egmont ouverture, l’Ottava in fa maggiore e la celeberrima Quinta in do minore, quella con l’attacco più famoso di tutta la storia della musica. Serata riuscitissima. Tesa nella direzione di Chailly che sul podio appare libero di giocare con questo Beethoven remix, restituirlo (dopo averlo assimilato nel tempo – anche al Gevandhaus di Lipsia aveva proposto l’integrale con i metronomi originali) nuovo, ma fedele a se stesso. Perché il tempo imposto in partitura dal compositore nell’esecuzione di Chailly arriva naturale, è quello che – questa almeno l’impressione stando in platea – meglio (ti) racconta il mondo beethoveniano che senti rassicurante nel perenne ritorno del suo marchio di fabbrica fatto di scarti di volume, corse in vanti e rallentamenti improvvisi, ma anche anticipatore di tutto quello che verrà dopo, spartiacque imprescindibile nella storia della musica.
Metronomi originali che vogliono dire ritmo più sostenuto e tempo più spedito specie nei tempi lenti. Perché gli atri suonano così come siamo abituati a sentirli, specie l’attacco della Quinta ben sostenuto dai violini guidati da Francesco Manara, accordi che tornano lungo tutto il corso dell’Allegro sempre contrappuntati dai violoncelli capitanati da Sandro Laffranchini (sicuramente anche le prime parti contribuiscono alla chimica di un’esecuzione). Chailly si butta a capofitto sulla partitura, ci mette energia e sorriso e alla fine è elettrizzato insieme al pubblico che applaude convinto.
Programma che il direttore, con i musicisti che smetteranno i panni di orchestrali scaligeri per indossare quelli della Filarmonica, porteranno in tournée in Europa tra Colonia, Anversa, Essen e Parigi.
Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Riccardo Chailly e l’orchestra