L’opera di Puccini diventa un kolossal cinematografico nello spettacolo ipertecnologico del regista piemontese che inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala
«Il più grande regista di Tosca che io conosca si chiama Giacomo Puccini». Davide Livermore mette subito le cose in chiaro raccontando come sarà la sua versione dell’opera che stasera inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala con la bacchetta di Riccardo Chailly che ha messo sul leggio la partitura originale che si ascoltò al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900 per la prima assoluta dell’opera e che poi il compositore toscano rimaneggiò per il debutto milanese di due mesi dopo. Otto inserti inediti che per il regista torinese, classe 1966, «sono stati una grande occasione per fare teatro. Ma senza inventarmi nulla perché – spiega – c’è già tutto nella partitura, nella musica e nelle didascalie del libretto. E già riuscire a fare bene questo è un’impresa difficilissima».
Cosa ha messo in campo per vincerla, Davide Livermore?
« Ho provato ad assecondare la partitura e mi sono accorto che nel 1900, quando stava nascendo la cinematografa, Puccini aveva già anticipato abbondantemente nella sua musica un fluire della narrazione profondamente cinematografico. Ho voluto allora raccontare Tosca come un film».
Una cifra che ha caratterizzato molte sue regie liriche dal rossiniano Turco in Italia ispirato a Fellini a un Tamerlano di Haendel alla maniera di Ėjzenštejn,.
«Questa volta, però, non cito nessuno. Anche perché Tosca è scritta già come un perfetto storyboard. Con lo studio Giò Forma che ha disegnato le scenografie abbiamo rispettato i luoghi dell’azione, Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e la piattaforma di Castel Sant’Angelo. Ma li abbiamo raccontati attraverso l’occhio di una macchina da presa, facendo in modo che la scenografia possa creare gli stessi movimenti di camera per avere sospensioni, avvicinamenti, cambi di piano, controcampi sino a un fiale a sorpresa dove si vedrà il volo di Tosca. Così ci saranno continui movimenti, come nel primo atto dove la musica parte con un ritmo sincopato e suggerisce un’azione che inizia fuori dalla chiesa: un uomo che corre fuggendo dalla prigione e trova rifugio in Sant’Andra della Valle, luogo che esploreremo a 360 gradi entrando dal portone, andando nelle cappelle, scendendo nella cripta. Anche il secondo atto si aprirà con l’esterno di palazzo Farnese nel quale entreremo con un movimento di macchina».
Come mai proprio il cinema per mettere in scena la lirica?
«Uso questo linguaggio per cercare di portare il più possibile la verità sul palcoscenico, per mettere da parte quella recitazione stereotipata da melodramma che non è più credibile. Cerco di dare ai cantanti gli strumenti per esprimere questa verità su un palco e in presa diretta. L’impressione che voglio dare, proprio come accade al cinema, è che la storia si crei lì, sul momento in cui avviene».
Una Tosca fedele a Puccini, compreso il fatto che sul leggio Riccardo Chailly ha messo la versione originale di Roma.
«Per me è stata una proposta filologica interessantissima, che un teatro come la Scala ha il dovere di proporre. È anche una sfida perché ho dovuto trasformarne in teatro passaggi inediti come il finale più lungo di un minuto, cercando di mantenere la tensione sino all’ultimo secondo. Il mio lavoro è entrare nella partitura, riportarla al pubblico, giocare con essa, cosa che non significa manipolarla stravolgendone il significato. Ritengo che un regista debba mettere da parte il suo ego, tanto più di fronte a capolavori assoluti come Tosca, e provare ad essere all’altezza di tale grandezza».
Chi è Tosca?
«Un personaggio che a seconda dell’epoca storica in cui viene messo in scena rivela alcuni aspetti piuttosto che altri. In questo caso quello che esce in modo struggente è il fatto che ci troviamo di fronte a situazioni di prevaricazione che vanno al di là di ciò che si può pensare, una prevaricazione totale dell’uomo su l’altro uomo».
Allude a Scarpia, naturalmente.
«Guardandolo vengono in mente i governi italiani di fine ottocento, quelli che facevano sparare sulla folla, ma anche la polizia che massacra, il potere che soverchia le persone non solo tramite un ricatto sessuale, ma soffocandone la libertà e il pensiero e uccidendo chi ha un desiderio di cambiamento».
E Cavaradossi?
«Lui è l’amico che vorrei avere in questo mondo di finti amici, di like messi a caso, di social sui quali si ostenta tutto perché il bene che si fa va messo in pubblico e non c’è più una dimensione privata. In questo mondo c’è ancora qualcuno come lui disposto a dare la vita per un amico? Lo spero».
Raccontata così Tosca diventa anche una riflessione sul nostro oggi. Il suo teatro ha spesso un valore civile, incarnato nel presente: a febbraio a Torino ha proposto il Requeim di Fauré per i migranti morti in mare.
«Un gesto simbolico, come quello di Antigone per dare pace alle vittime. Un artista deve ricordarsi di essere un soggetto politico – non partitico –, un esponente della polis. E per questo è un dovere portare un messaggio attraverso l’arte, troppo spesso trascurata o messa all’angolo: abbiamo sentito frasi del tipo Con la cultura non si mangia, una menzogna, e assistiamo alla vergogna del taglio dei fondi alla cultura. Chi fa arte non fa intrattenimento, ma fa qualcosa di utile e di buono per la propria anima e per quella degli altri».
Un impegno che metterà anche nel suo nuovo ruolo di direttore del Teatro stabile di Genova?
«L’ho sempre fatto a Torino al Baretti che ora continua la sua avventura di poratte la cultura in periferia con Rosa Mogliasso. Lo farò anche a Genova perché da uomo di teatro devo sapere e raccontare cosa accade a New York, ma anche a Sanpierdarena. Occorre essere legati al territorio e tenere aperta una porta sul mondo Lo farò con i nostri attori italiani, che vanno valorizzati perché sono talenti e un patrimonio che dobbiamo difendere. E continuerò a farlo anche con la lirica».
Alla Scala tornerà a novembre 2020 quando chiuderà la stagione con La Gioconda di Ponchielli.
«Avevo solo un’idea, quella di far ballare gli ippopotami sulla Danza delle ore, ma me l’ha rubata Walt Disney».
Intervista pubblicata su Avvenire il 7 dicembre 2019
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala le prove di Tosca