Trionfo per l’integrale delle Sinfonie del compositore tedesco con il direttore milanese sul podio della Filarmonica di Milano dove suonano insieme giovani di talento e affermati musicisti
A un tratto ti sembra di essere febbricitante. Caldo in volto, gli occhi lucidi. E nella mente – ma giureresti di averle viste, lì davanti a te – ti si palesano, come in una visione, immagini potenti. Potenti perché ti arrivano improvvise e inaspettate. Non perché fuori dal comune, ma perché sono immagini della (tua) vita quotidiana – immagini di incontri e di volti, di squarci di mondo e di angoli di casa – sfocate, forse, nei contorni onirici, ma rese finalmente chiare nel profondo, nel loro mistero, il mistero della vita, appunto, che non sempre ci è dato di comprendere mentre la viviamo. Illuminate, queste immagini folgoranti, da una lucida presenza che è, spesso, quella di un’apparente assenza, fatta della trasfigurazione in una dimensione altra che a mente lucida vorresti ritrovare, ma non ne conosci la porta di accesso. Immagini che, appunto, ti passano in testa nei momenti di dormiveglia (febbricitante, ma non solo, anche quando il cervello inizia a spegnersi perché sovraccarico di vita), momenti rivelatori del mondo e di quelle emozioni che fanno unica la vita di ciascuno. Questa volta è successo – eccola la porta di accesso a quel mondo – in musica, con Johannes Brahms. Non un Brahms qualunque, ma il Brahms di Daniele Gatti, quello che il direttore ha in testa e che si fa (si è fatto) fa suono, corpo imponente e immagine fuggevole allo stesso tempo con laFil.
La Filarmonica di Milano, l’orchestra che il direttore milanese ha creato facendo incontrare musicisti affermati, prime parti delle maggiori orchestre italiane (e non solo) e giovani neodiplomati, è tornata a riunirsi per una maratona Brahms che ha visto partecipare maratoneti sull’intera distanza e “corridori” che hanno compiuto solo un tratto del percorso proposto a Milano nel fine settimana del 26 e 27 ottobre con il titolo di Tutti pazzi per Brahms. Quattro concerti in due giorni per il secondo progetto del 2019 – l’inaugurazione la scorsa primavera con tutto Schumann al Palazzo delle Scintille, nel cuore di City life – ospitato in Conservatorio (grazie alla collaborazione con la Società del Quartetto) in attesa del Teatro Lirico offerto dal Comune all’orchestra (in primavera si pensa a programmi con Schubert e Mahler nel teatro disegnato dall’architetto Piermarini). Sabato e domenica, pomeriggio e sera, con le quattro Sinfonie (una per concerto, sabato le dispari, domenica le pari), ma anche con l’Ouverture Tragica, le Variazioni per orchestra su un tema di Haydn e il Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte, con il Beethoven del Concerto in re maggiore per violino e orchestra e lo Schumann del Concerto in la minore per violoncello e orchestra.
È bastato l’attacco solenne e grave della Tragische ouverture per essere tirati dentro un racconto che ha tutti i colori (e le emozioni) della vita. Con Schumann, in primavera, Gatti si era messo (e ci aveva messo) davanti a uno specchio: (ri)conoscere se stessi attraverso la musica, (ri)trovarsi per poi ripartire. Ora con Brahms il lavoro è stato quello di capire, di dare un nome (e un perché) alle esperienze della vita. Non, però, come sul lettino di uno psicanalista, perché l’esperienza ci ha ormai dato la chiave per leggere la vita. Ecco allora che Brahms diventa lo sguardo con cui interpretare il passato e il presente per (ri)pensare il futuro: che è poi quello che il compositore tedesco faceva in musica, in pieno Ottocento, usando forme e stili del passato e del suo presente – la variazione su tutte – non per macerarsi in una nostalgia di ciò che era che porterebbe all’immobilismo, ma per gettare le basi del futuro. A tratti incompreso, Brahms, ma poi riconosciuto nella sua grandezza.
Grandezza nell’esaltare la musica per quello che (era) è, una forma d’arte che attraverso la bellezza fa intravedere qualcosa di Altro. Bellezza e grandezza che Gatti – che ha affrontato innumerevoli volte le Sinfonie di Brahms (anche in cicli ravvicinati come quello proposto con laFil) – restituisce con una lettura che sorprende ad ogni passo: non ha leggio e partitura davanti, dirige tutto a memoria, cosa che gli consente una grande libertà interpretativa nel restituire ciò che, in qualche modo, è parte di lui, un discorso che ha assimilato al punto da farlo diventare la sua stessa visione del mondo. Una grande libertà nei tempi che cambiano ad ogni respiro tenendoti in tensione continua, un continuo dentro e fuori dalle forme, un mutare continuo di colori e atmosfere. E tutto alla fine si ricompone in una visione unitaria che laFil, estensione sonora del pensiero di Gatti, incarna perfettamente in una simbiosi totale con il direttore: ogni intenzione di Gatti diventa gesto – a volte minimo, non serve teatralità – che i musicisti trasformano in suono, in emozione capace di rivestire di senso l’intero percorso come il minimo dettaglio.
Esperienza etica, dunque, ma anche estetica per la bellezza del suono della Fil, oggi la migliore orchestra di Milano (e non solo di Milano). Un suono che sa di miracolo, creato da Gatti in una settimana di prova con i giovani trascinati dalla spalla di Carlo Parazzoli (primo violino di Santa Cecilia) e da Roberto Tarenzi (viola del Quartetto Borciani) – ideatori con Gatti del progetto sostenuto da Luca Formenton e da Il saggiatore – dal corno di Natalino Ricciardo, solista nel Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte che ha aperto la maratona con il pianoforte di Enrico Pace e il violino di Franz Peter Zimmermann. Mattatore, Zimmermann, del Concerto in re maggiore di Beethoven ripensato da Gatti e dal violinista tedesco come un dialogo dove solista e orchestra stanno sullo stesso piano, protagonisti entrambi, come capita nel Concerto in la minore di Schumann dove il violoncello creativo di Jan Vogler si fonde in un impasto sonoro con i musicisti de laFil.
Tocca poi a Brahms. Che Gatti restituisce in quattro modi diversi, perché le Sinfonie raccontano quattro mondi. La Prima ti prende allo stomaco, viscerale, immediata, disarmante anche nel suo omaggio a Beethoven. La Terza è un tocco poetico che si colora di tagli di luce livida. Domenica si parte con la Seconda, granitica, ma allo stesso tempo capace di lasciare squarci sognanti. La Quarta, che ha un preludio di lusso, le Variazioni su un tema di Haydn (da brivido l’ultima variazione, da stordimento la ricchezza di suono del finale), è un’ascesa verso l’alto, un’elevazione spirituale che arriva a toccare il vertice di tutto il precorso di Brahms e di Gatti con Brahms. Un viaggio entusiasmante e allo stesso tempo inquietante perché racconta di noi.
Sei ore di musica culminate in una standing ovation (con entusiasmo incontenibile da parte del pubblico ed emozione difficilmente mascherabile per i musicisti) per laFil e per Gatti. Vincitori della maratona Brahms, ma soprattutto della sfida di moltiplicare – con la proposta di una nuova orchestra e di programmi stimolanti – le occasioni di crescita culturale di una città come Milano che, se vuole davvero avere respiro e status di capitale europea, deve metter da parte inutili mugugni (sarebbe assurdo pensare che a Monaco di Baviera all’orchestra della Bayerische Staatsoper vedessero con sospetto la presenza e l’attività della Bayerische rundfunk orchestra o dei Münchner philharmoniker) e lavorare per mettere in campo sempre il meglio, anche in una sana sfida qualitativa.
Nelle foto @Stefania Zanetti Daniele Gatti sul podio de laFil in Conservatorio a Milanoi