Noi registi facciamo la rivoluzione con Verdi

Diario Verdiano. 5

Leo Muscato e ricci/forte raccontano I due Foscari e Nabucco titoli che mettono in scena al Festival Verdi di Parma 2019 «Attuale e necessaria la lezione in musica del compositore»

In locandina il nome è unico – sebbene loro siano in due – formato dai cognomi uniti insieme: ricci/forte, scritto con le minuscole, in mezzo una barra molto pop, ma scelta in tempi in cui il linguaggio simbolico dei social ancora non aveva contagiato il nostro italiano parlato. Stefano Ricci e Gianni Forte lavorano insieme da sempre. E presentano spettacoli che hanno la loro inconfondibile firma drammaturgica e visiva, pop e classica, dove alto e basso convivono in una visione estetica che ti prende allo stomaco, perché racconta la violenza del quotidiano fatta non tanto di cronaca nera, quanto di piccole miserie umane amplificate da tv e social, da una società dell’apparire che impone modelli preconfezionati. Vengono dalla prosa, dal cosiddetto teatro di ricerca, all’estero di casa nei grandi teatri nazionali e in Italia arrivato – dopo anni di gavetta di cantine e circuiti off – sulla ribalta del Piccolo Teatro di Milano o del Teatro di Roma. Piovono premi nella prosa. E anche nella lirica. Perché la coppia di registi – romano Ricci, pugliese di Trani Forte – nell’estate 2017 si è cimentata per la prima volta con il melodramma con la Turandot di Giacomo Puccini sul palco dello Sferisterio di Macerata vincendo al primo colpo il Premio Abbiati della critica musicale.

Anche Leo Muscato viene dal teatro di prosa, Il nome della rosa tratto da Umberto Eco, Tutto su mia madre ispirato alla pellicola di Pedro Almodovar, Edipus di Giovanni Testori e anche Aria precaria di Ale e Franz sino al Vangelo secondo Lorenzo che ha scritto raccontando la figura di don Lorenzo Milani. Talmente affascinato dal sacerdote di Barbiana da aver chiamato suo figlio Lorenzo. Ma la lirica è nel suo dna essendo nato a Martina Franca e avendo frequentato sin da ragazzo il festival della Valle d’Itria: la Fenice di Venezia e l’Opera di Roma sino al Maggio musicale fiorentino dove Muscato si è inventato un finale diverso (che ha fatto tanto parlare) per la Carmen di Bizet con la zingara che uccide don José. Idee, messe in campo per far riflettere, non semplicemente per provocare. Perché l’arte deve far questo, far pensare.

Leo Muscato e ricci/forte si trovano insieme nel cartellone 2019 del Festival Verdi di Parma. Muscato firma la regia dello spettacolo inaugurale, I due Foscari in abiti ottocenteschi dove il doge è un alter ego Giuseppe Verdi; ricci/forte hanno realizzato il progetto di Nabucco, trasportato in un ipotetico futuro che tanto assomiglia al nostro presente. Ecco un’intervista doppia ai registi su Verdi, sui suoi personaggi, sull’attualità delle storie raccontate in musica dal musicista delle Roncole.

Cosa volete raccontare con Verdi? Che mondo? Che uomini?

Muscato Generalmente quando mi accingo a preparare il progetto per uno spettacolo mi pongo sempre l’obiettivo di provare innanzitutto a raccontare la storia presente nel libretto in maniera anche semplice e lineare, adattando certo la narrazione al pubblico di oggi che è naturalmente diverso da quello per cui l’opera è stata scritta a suo tempo. I due Foscari è un’opera particolare di Giuseppe Verdi, legata al primo periodo della sua carriera, un momento nel quale il compositore era ancora in formazione. La partitura, strutturata per numeri chiusi con arie e cabalette e una cifra estetica e musicale, alle mie orecchie suona ferocemente Ottocento: quando l’ho ascoltata ho subito avvertito una sorta di discrepanza nell’associare le immagine evocate dal libretto, che richiama una Venezia del XV secolo a una musica tipicamente ottocentesca. Ecco perché ho pensato di spostarla in un’epoca più vicina a Verdi e a lord Byron cui si è ispirato Francesco Maria Piave per il libretto ispirato a lord Byron. 

ricci/forte Raccontare chi siamo veramente. Noi, gli oggetti, le ossa, gli odori, ogni particolare celebrato sull’altare mediatico del tempo presente. Quali e quante sono le maschere che volenti o nolenti abbiamo sposato? Sono davvero nostri i pensieri e i passi, o sono il frutto subdolamente modificato dall’ambiente che ci circonda? Scale che cigolano, pareti che bisbigliano: siamo solo un’emanazione delle cose che ci zavorrano.

Quale attualità in una partitura scritta un secolo e mezzo fa?

Muscato Se mi concentro sulla musica sento una connotazione fortemente storicizzata di questa partitura di Verdi, mentre se guardo le parole, la struttura narrativa trovo archetipi senza tempo, personaggi che incarnano sentimenti perfettamente riconoscibili anche oggi. Il doge Foscari, a capo di una repubblica, è un uomo governo che vive ferocemente il conflitto di dover scegliere nel suo ruolo pubblico la strada più difficile per la sua vita personale: osservare le regole e le leggi a scapito di una possibile grazia da concedere al figlio che, per non tradire la legge, condanna all’esilio scoprendo solo poi che è innocente. Un tema che non ha tempo.

ricci/forte Paradossalmente, nulla è cambiato da allora. Cosi come aveva fatto Verdi nel 1842, traslando il suo Nabucco in un lasso temporale-spaziale lontano dal suo presente per motivi di censura o per non turbare e aggravare maggiormente sull’equilibrio instabile delle istituzioni politico-sociali-ecclesiastiche vigenti in quel periodo, anche noi, per non fare della cronaca semplicistica, abbiamo voluto raccontare, e senza fare sconti, l’Italia ponendo la lente d’ingrandimento sugli italiani per come sono o potrebbero diventare tra una manciata d’anni, in un futuro prossimo, nel 2046. Trovare, recuperare un senso in un’epoca contemporanea che ha smarrito ogni valore morale è il tragitto che ognuno di noi dovrebbe compiere per non lasciarsi andare alla corrente di una società massificatrice.

Chi sono i personaggi che mettete in scena? Quali i sentimenti che ce li rendono vicini?

Muscato Mi affascina il fatto che l’opera sia ambientata in un arco temporale breve e concentrato: inizia la mattina e la sera è già finito tutto. E in questo frangente vediamo personaggi in una condizione di extra ordinarietà, due, alla fine, muoiono di crepacuore. La condizione di Jacopo è quella di un uomo in attesa che gli cada in testa una spada di Damocle, la condizione di paura, di terrore, di sentori addosso il giudizio pesante delle persone che lo circondano e dalle quali si sente odiato: oggi li chiameremmo haters, gente che riversa gratuitamente su Jacopo un sentimento gratuito di odio, perché ciò di cui lo accusano, un omicidio, non è fondato su prove concrete e ufficiali. Alla fragilità di Jacopo si contrappone la forza di Lucrezia, la moglie, unico personaggio virile, unica che agisce, fa delle cose anche clamorose per salvare il marito. Cose che possono risultare anche storicamente poco credibili come il fatto che una donna al quale era vietato l’accesso alle stanze del potere entri nell’aula del consiglio con altre donne per far valere propri diritti.

ricci/forte Noi non siamo cosi differenti dai dispotici Nabucco e Abigaille. In balia della globalizzazione, tramortiti dal conformismo, anche noi oggi, in un gioco interminabile di riflessi, ci ritroviamo a piangere la nostra Patria sì bella e perduta. Dobbiamo fuggire a gambe levate da qualsiasi ordine precostituito o prigione che ci trasformerà in carnefici e vittime allo stesso tempo. Sentiamo nelle narici l’odore acre del vuoto, di non essere più del luogo, di essere diventati stranieri nel nostro Paese. “Ecco la mia mano, afferrala”. Se il cuore offerto è di un bianco smagliante, il blu di Prussia del cielo e del mare è identico dappertutto per noi esuli a noi stessi.

Come raccontare Verdi oggi? Attualizzazione anche visiva? O basta la storia?

Muscato Non sono sicuro che ci sia una strada sola da seguire. Credo che per ogni spettacolo valgano regole diverse. Uno spettacolo è sempre il frutto di un percorso che un gruppo di persone (regista, scenografo, costumista, direttore, interpreti…) fanno insieme. E il lavoro di squadra ti può portare anche a qualcosa che non avresti immaginato in partenza. In alcuni casi sembra quasi necessario per poter rimanere fedele all’autore immaginare un contesto storico e visivo molto più vicino ai nostri giorni. Questo non significa trasportare automaticamente tutto al presente, ma trovare un linguaggio che possa rendere necessaria la storia allo spettatore di oggi così come lo era la prima volta che veniva proposta. Se prendiamo un’opera come Traviata sappiamo che Verdi era cosciente di suscitare scalpore perché toccava archetipi importanti, relazioni sociali importanti: se oggi nel mettere in scena Traviata uno immagina di fare un allestimento garbato, lineare e senza riuscire a provocare un sentimento altrettanto disturbante in qualche modo tradisce Verdi.

ricci/forte L’elaborazione estetica o drammaturgica è un distillato delle lotte sostenute nel quotidiano. Si vive in trincea. In continuo assedio, circondati dai segni della catastrofe. Le nostre pupille cercano scampo nel sogno, nella fantasia come ultimo avamposto dentro il quale mitragliare l’approssimazione e la cialtroneria di questo scorcio di secolo in saldo. Le fondamenta di un’architettura di segni espressivi che identificano i lavori del nostro ensemble sono una fame titanica di poesia, il rimpianto di qualcosa andato perduto e l’urgenza spasmodica di riconquistarlo. Parlare oggi di Verdi, sottraendoci all’asfittico naturalismo prosaico. Non c’è data di scadenza quando si analizzano temi cosi profondamente imbastiti a doppio filo con le anime. Ecco perché pur restando un impianto solido, questo Nabucco respira e cresce visivamente arricchito delle esperienze di vita che ciascun partecipante a quest’opera compie personalmente e va a impreziosire il miracolo della messa in scena, che non rimane mera “rappresentazione”, ma si distilla in “esistenza senza tregua”. Non esistono ambientazioni ma soltanto bisogno di restituire alla luce i bassorilievi politici di una partitura musicale che deve parlare ai sensi e alla ratio di ognuno di noi.

Come è da registi di prosa raccogliere la sfida della lirica e lavorare con i cantanti, musicisti, ma non necessariamente anche attori?

Muscato Quando lavoro con i cantanti provo a mettere in atto le stesse dinamiche che attuo con gli attori in prosa, ma mi rendo conto che le esigenze e le dinamiche sono diverse. Mi piace lavorare su piccoli dettagli senza creare azioni troppo frenetiche in palco perché mi sembra necessario salvaguardare le voci dei cantanti che quando salgono in palco ai miei occhi sono degli eroi per la difficoltà del canto, specie in un’opera come questa.

ricci/forte Nessun checkpoint per stabilire un contatto sotto l’epidermide, tra le unghie affamate di relazioni non standardizzate. Un artigianato, il nostro, che abbraccia l’idea del mare aperto: uno di noi due al timone, e l’altro alle vele. Senza sussulti, abbiamo semplicemente abbandonato l’apparente placidità della terraferma. Lontano dagli intellettualismi chaise longue. Puntando la rotta tra le spume del dubbio. E, con occhi insaziabili da uccelli migratori e i sensi in ascolto, il fantastico cast artistico (dal direttore musicale Ciampa, ai solisti Enkhbat, Hernandez, Stroppa, Palumbo, Amoretti, Magrì, con gli altri interpreti, i 10 performers, il coro e il maestro Faggiani) insieme a quello tecnico è salpato e ha danzato insieme a noi il beguine su questa Arca del risveglio della coscienza verso un Infinito che non prevede astensioni.

C’è una spiritualità nella musica di Verdi?

Muscato Decisamente. In quest’opera in particolare ci sono momenti, specie quelli corali, che sembrano portarti in un altro luogo di percezione e partecipazione emotiva. Ci sono frammetti del Rigoletto che mi commuovono sino alle lacrime, un ostinato di archi nel duetto tra padre e figlia, un passaggio di dieci secondi che ogni volta che lo ascolto mi tocca nel profondo e razionalmente non riesco a capire il perché.

ricci/forte La musica di Verdi riesce a restituirci un profondo sentimento religioso mettendo in connessione il divino, l’Io e il terreno sul quale ci sviluppiamo. La composizione armonica diventa così una turbina generatrice di visioni e senso più profondo di un’Etica superiore e troppo spesso dimenticata.

Chi è Verdi per voi, artisti e uomini del terzo millennio?

Muscato Sicuramente un rivoluzionario che continua ad esserlo anche oggi. Verdi ha preso il mondo musicale che c’era e lo ha portato in un altro secolo, inventando un nuovo modo di concepire il teatro in musica. Sarebbe un errore pensarlo come reazionario: lui ha fatto una rivoluzione partendo dal lavoro, da quello che c’era e il fatto di aver attuato questa grande rivoluzione lavorando dall’interno e non solo teorizzandola ce lo dipinge come un gigante. Pensiamo cosa un uomo di ottant’anni è riuscito a fare con Falstaff, autocitandosi e quasi negando tutto quello fatto prima, portandoci in un mondo che Puccini e tutto il Novecento avrebbe preso ed esaltato di lì a poco.

ricci/forte Per noi è stato salutare e rigenerante questo confronto con Verdi e il suo universo. Ogni opera è un viaggio e prevede nuovi strumenti di perlustrazione. Il processo è labirintico. All’inizio si avanza con cautela, quasi bendati, innestando dei batteri sottopelle, verificandone lo sviluppo patogeno. Nel caso specifico del Maestro, i suoi temi sono universali e, affondando le radici nel vissuto di tutti noi, prevedono cadute differenti, incendi difformi. Uno sviluppo empirico analogo a quello del sopravvivere, rivelando ai nostri occhi attraverso la grammatica teatrale, come un’epifania, la vita che vorremmo senza più quei limiti territoriali di una nazione ma abbracciando un intero pianeta in movimento. Il Teatro è un organismo vivente che si nutre di lacerazioni aggiornate in queste ininterrotte prove tecniche di sopravvivenza urbana. E in un mondo in continua evoluzione, anche quello Lirico deve fare i conti con questa mutazione, accedendo ad ogni possibile mezzo espressivo per sintonizzarsi con un pubblico esigente e che sceglie sempre più il confronto dal vivo. Come affermava Enzensberger, il passato, il presente finiscono per fondersi insieme in un coacervo di incontri, di downloads: l’arte è un torso le cui membra giacciono nel futuro. Al Teatro Regio – piattaforma viva e ricca di stimoli per chiunque voglia esprimersi con un battito cardiaco europeo – grazie ad una anfitriona illuminata come Anna Maria Meo, abbiamo trovato occhi, orecchie e linguaggi che ci hanno restituito il familiare concetto di Casa.

Ci sarà ancora Verdi nei vostri programmi futuri?

Muscato Per il momento non è previsto, ma mi auguro di sì. Vorrei lavorare sulle ultime opere di Verdi, quelle della maturità, così cariche di avvenimenti e portatrici di una teatralità inaudita: per un regista che viene dalla prosa è una sfida esaltante.

ricci/forte Verdi, Donizetti, Beethoven, Cherubini e tantissimi altri: la volontà di tracciare nuove mappe del tesoro e scoprire monete d’oro laddove precipita l’arcobaleno. Non esistono chiavi di accesso se non quelle di comprendere non tanto il “come” metterli in scena ma il “perché”. Individuare i significati che restituiscano ad una architettura musicale del passato la capacità di parlare a noi, oggi, abitanti sedati di questo tempo ancora ospitale. Semantizzare ciò che si vede ed esprimerlo con un proprio personale codice è una libertà, un lusso con un prezzo salato sullo scontrino. Soprattutto in uno Stivale culturalmente depauperato. Lo abbiamo sempre pagato senza sconti, privi di qualunque spirito rivoluzionario ma sospinti unicamente da una volontà di raccontare senza induzioni altrui un progetto poetico in cui ci riconosciamo: in questi tempi di massificazione verso il basso è l’unico sentiero pollicino, a nostro avviso, per ritrovare l’uscita dal fogliame.

Nelle foto @Roberto Ricci I due Foscari e Nabucco al Teatro Regio di Parma. Il ritratto di ricci/forte è di @Angelo Cricchi