Il musicista milanese sul podio della Scala per Elisir d’amore racconta la sua vita lontano da Facebook, Instagram e Twitter Nel 2020 la prima mondiale del balletto Madina di Vacchi
Non cercatelo sui social. Perché Michele Gamba non ha un profilo Facebook, né un account Instagram. Niente Twitter e nemmeno Messenger. «Si vive benissimo lo stesso, ve lo assicuro» racconta il trentaseienne direttore d’orchestra milanese che dopo essere salito in corsa per ben due volte sul podio del Teatro alla Scala – era il 2016 a marzo ha sostituito mezz’ora prima dell’alzata di sipario Michele Mariotti per i verdiani Due Foscari e a novembre ha dato il cambio in una recita delle mozartiane Nozze di Figaro a Franz Welser-Most – oggi ci arriva da titolare per L’elisir d’amore. L’opera, tra le più popolari di Gaetano Donizetti, è in scena a Milano sino al 10 ottobre con la regia di Grischa Asagaroff e le scene e i costumi dell’illustratore Tullio Pericoli. René Barbera è Nemorino, Rosa Feola Adina e Ambrogio maestri Dulcamara. «Preferisco coltivare i rapporti personali. Sono poi geloso della mia sfera privata, non mi piace fare sapere dove vado in vacanza o con chi passo il mio tempo libero, chi sono i miei familiari e i miei amici. Non mi interessa questo tipo di visibilità». Milanese di nascita e di formazione, Michele Gamba ha costruito la sua carriera all’estero: assistente di Daniel Barenboim a Berlino e di Antonio Pappano a Londra dirige in Europa e in Sud America. Ora torna a casa. «Nel teatroi che frequentavo negli anni del Conservatorio».
Che effetto le fa, maestro Gamba, salire finalmente da titolare sul podio del Teatro alla Scala?
Aver potuto provare a lungo con l’orchestra e il coro, lavorare in sala con i cantanti e non arrivare a mezz’ora dalla recita potendosi solo accordare con il primo violino è stato già un gran passo avanti. Ovviamente lo dico con il sorriso. Sicuramente cerco di non pensare a cosa rappresenta la Scala per me come milanese, ma anche per me come musicista, un teatro dal grande valore iconico mondiale e con un carico di storia enorme. Mi rassicura avere sul leggio L’elisir d’amore di Donizetti e davanti a me l’orchestra scaligera: dirigerla è come salire su un tappeto volante e viaggiare tra dinamiche e colori. Le partiture belcantistiche solitamente sono avare di indicazioni per i musicisti in buca, ma l’orchestra della Scala ha un modo di fraseggiare tipicamente italiano che è quello del belcanto: non occorre dire molto, basta salire sul podio e alzare la bacchetta… e il tappeto volante parte.
Che ricordo ha dei suoi due arrivi in corsa alla Scala?
Adrenalinici. Per I due Foscari mi chiamò Francesco Meli, che cantava nei panni di Jacopo. C’eravamo visti per un saluto nel pomeriggio. Arrivato in teatro seppe che Michele Mariotti non stava bene: sapeva che avevo lavorato con Pappano ai Due Foscari allora mi mandò un messaggio dicendo di correre in teatro. Fece il mio nome senza darmi il tempo di capire. Lascia la pasta che mi stavo cucinando sui fornelli e corsi in teatro. Il tempo di accordarmi con il primo violino e sono salito sul podio. Considero quella la mia audizione per dirigere alla Scala. La seconda audizione qualche mese dopo, con Le nozze di Figaro dove ho preso il posto di Welser-Most. Andò bene. Alla Scala ho diretto poi le recite d’opera per i bambini. E ora arrivo nel cartellone ufficiale.
E non sarà un’esperienza isolata: la prossima stagione l’aspettano due titoli, un’opera e un balletto.
In marzo sarò sul podio per Madina, nuovo lavoro di Fabio Vacchi che non è una partitura classica per uno spettacolo di danza perché prevede orchestra, coro, quattro voci e una voce recitante. Una partitura in prima mondiale molto complessa che tratta un tema attuale come il terrorismo e il fanatismo dei kamikaze. Quella di Vacchi è sempre una musica di impegno civile. In scena ci sarà Roberto Bolle. A novembre poi dirigerò Traviata nello storico allestimento di Liliana Cavani.
Intanto c’è Elisir che dietro un’apparente leggerezza è anche una partitura complessa, imparentata con i grandi capolavori drammatici di Donizetti.
È vero. E se lo spirito in queste settimane di prova è stato quello di divertirsi insieme con questa musica bellissima, c’è sempre la consapevolezza che non possiamo distrarci un minuto. Non possono farlo i cantanti, non possono farlo i musicisti in buca, non posso farlo io sul podio, chiamato a dirigere il traffico della partitura nascosto dietro un’apparente semplicità. Il belcanto deve essere bello, deve apparire facile per conquistare, ma noi musicisti sappiamo che il lavoro per restituire questa semplicità è tanto. In questo Donizetti è come Mozart, sembra semplicissimo all’ascolto, ma richiede un lavoro di cesello per restituire al meglio questa bellezza.
In quale repertorio si trova maggiormente a suo agio?
Per le esperienze maturate direi il repertorio tedesco con Strauss, e Wagner, l’ho frequentato con Pappano e Barenboim. Dirigo molta musica sinfonica e mi interessa molto la musica contemporanea. Ultimamente, è vero, sto facendo molta opera, in particolare il repertorio italiano.
A proposito, a parte la Scala i suoi impegni sono in giro per il mondo…
Sappiamo che in Italia si programma molto a ridosso degli impegni mentre all’estero si viene scritturati in largo anticipo. Detto questo il nostro paese ha un grande capitale umano che ci viene riconosciuto in tutto il mondo: all’estero ci guardano come un faro a livello culturale, sdiamo il paese del melodramma e dell’arte. Certo, spesso siamo bravi a darci addosso da soli. Eppure le eccellenze sono tante e ci sono anche molte realtà che formano pur in situazioni difficili. In Italia c’è da parte di tanti la volontà di fare di più e fare sempre meglio. E questo mi rende orgoglioso di essere italiano.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala L’elisir d’amore