Diario Rossiniano. 5
Al Rof la cantata dedicata nel 1821 a Maria Luisa di Borbone Renzetti dirige le voci di Remigio, Yarovaya, Gatin e Fassi
Qualcuno avrebbe mandato un mazzo di rose con un bigliettino. Gioachino Rossini no. Ha scritto una cantata. D’altra parte fare musica per lui era semplicissimo, dato che era il recordman di composizione di un nuovo melodramma: tre settimane il tempo impiegato tanto per La cenerentola quanto per Il barbiere di Siviglia. Ecco allora che per chiedere scusa a Maria Luisa Giuseppina di Borbone Rossini scrive La riconoscenza, cantata pastorale su libretto di Giulio Genoino.
La colpa? Non aver mantenuto la promessa di realizzare un’opera per le nozze del figlio della principessa di Lucca, Maria Luisa Giuseppina, appunto: la nobildonna (prima regina d’Etruria e poi, secondo le decisioni del Congresso di Vienna, “risarcita” dell’annessione del suo regno ai domini napoleonici con il ducato di Lucca), violinista per passione e grande ammiratrice di Rossini, aveva chiesto una partitura da eseguire per le nozze del figlio Carlo Ludovico, avvenute il 5 settembre 1820. Rossini promise, ma non mantenne. Così, in meno di un anno, scrisse questo particolare biglietto di scuse, La riconoscenza, cantata eseguita in forma privata (e curiosamente senza la presenza della duchessa) nell’agosto del 1821. Esecuzione pubblica, accolta da calorosi applausi, invece al Rossini opera festival di Pesaro.
Concerto pomeridiano al Teatro Rossini (data unica il 14 agosto) per La riconoscenza, pagina di raro ascolto proposta nell’edizione critica della fondazione Rossini a cura di Patricia Brauner. Orchestra – la Filarmonica Gioachino Rossini – in buca, coro – quello del Teatro della Fortuna di Fano – e solisti sul palco. Esecuzione in forma di concerto guidata da Donato Renzetti, puntuale nel tenere le redini di una partitura che è una sorta de “il meglio di…”: arie, duetti, terzetti, danze, concertati, recitativi accompagnati sono impregnati dello stile (già maturo) del compositore. Meno di un’ora di musica che rende in forma teatrale una trama esile, il racconto di alcuni pastori che si recano a palazzo per rendere omaggio all’anima nobile di Luisa. Pretesto per una musica pura dove Rossini chiede alle virtuosismi spericolati. Specie al tenore. Alla prima dell’agosto 1821 nella casa napoletana di Antonio Capece Minutolo i solisti erano Girolama Dardanelli, Adelaide Comelli, Giovanni Battista Rubini (il mitico tenore bellini ano) e Michele Benedetti. Gli stessi che la eseguirono poi in pubblico il 27 dicembre 1821 al San Carlo – solo nell’aprile del 1822 Maria Luisa Giuseppina ascoltò dal vivo la “sua” Riconoscenza.
Rossiniani di ieri, quelli del tempo. E rossiniani di oggi quelli ascoltati al Rof, interpreti affermati e giovani che si affacciano con autorevolezza al panorama musicale: l’esperienza e l’autorevolezza di Carmela Remigio (che ha cesellato l’aria di Argene e ha dato mordente al duetto con Victoria Yarovaya, puntale nella parte di Melania) da una parte, lo slancio e la generosità di Ruzil Gatin e Ricardo Fassi, tenore e basso, dal’altra. Gatin scala le vette impervie del’aria di Fileno che Rossini dissemina di acuti grazie a voce, timbro e tecnica che sicuramente è destinata a crescere; Fassi, pur nella breve parte di Elpino (il cantante milanese, impegnato a Pesaro nel Demetrio e Polibio, è stato chiamato in corsa dopo la defezione del previsto Mirco Palazzi), lascia il segno con il suo colore brunito e la capacità di scolpire la parola scenica. Omaggio, a Maria Luisa Giuseppina, ma soprattutto a Rossini – da parte del Rof con questa cantata che si ascolta di rado – riuscitissimo. Meglio di un mazzo di rose.
Nelle foto @Bacciardi/Amati La riconoscenza al Rof