Diario Rossiniano. 4
Al Rof di Pesaro torna il dramma giocoso censurato nel 1811 Personaggi come caricature nella regia di Leiser e Caurier
Sembra una commedia scollacciata, una di quelle che andavano negli anni Settanta e Ottanta al cinema, poco sensuali e molto ammiccanti. Anzi, esplicite. Con quei doppi sensi grossolani alla Lino Banfi e Alvaro Vitali per strappare sonore risate. L’equivoco stravagante di Gioachino Rossini in scena a Pesaro sembra a tratti una di quelle barzellette grevi, palesi nei riferimenti sessuali esibiti e compiaciuti. Ma questa volta la “colpa” non è del regista – in questo caso dei registi – di turno. Che nel nuovo allestimento del titolo datato 1811 proposto come terzo titolo dell’edizione numero quaranta del Rossini opera festival sono i belgi Moshe Leiser e Patrice Caurier, abituati a provocazioni e stravolgimenti delle trame. Non questa volta, però, che la trama è già piccante di suo e nulla serve aggiungerci per renderla grossolana.
La “colpa” è dello stesso Rossini. Perché per la sua seconda opera il musicista ha scelto un libretto di Gaetano Gasbarri dove si racconta di una ragazza, Ernestina, contesa tra un maestro di filosofia e un ricco possidente, Ermanno e Buralicchio. Sollecitata dal padre Gamberotto – «Dagliela, figlia, dagliela…» la sollecita lui senza andare troppo per il sottile – decide di concedersi a entrambi. Ma il servo di casa, per sottrarla alle gelosie di Buralicchio, fa credere all’uomo che Ernestina in realtà è Ernesto, castrato dal padre per evitargli il servizio militare. E con tale trama i riferimenti (e le risate) si moltiplicano. Non solo con i doppi sensi, ma grazie a una raffinata invenzione linguistica filosofica e letteraria (tra strafalcioni ed errori buffi) che smaschera le velleità culturali di una borghesia di campagna che cerca i nobilitarsi (e maritarsi).
Ecco il Rossini che non ti aspetti che mette in musica un libretto di Gaetano Gasbarri ne L’equivoco stravagante, opera che debutta a Bologna e sta incredibilmente in scena tre sere prima che la censura la proibisca, avviando anche un provvedimento disciplinare nei confronti del censore che non era intervenuto sul libretto. Vicenda che Leiser e Caurier raccontano deformandola con la lente del grottesco con l’effetto, quasi paradossale, di rendere meno pesanti i doppi sensi del libretto e più gustose le invenzioni letterarie. I personaggi sembrano usciti dalle illustrazioni del pittore e vignettista francese Honoré Daumier, nasi enormi, fianchi larghi, abiti ottocenteschi elaborati e dai colori pop che, da soli, raccontano caratteri e tic. Scene (disegnate da Christian Fenouillat) che sono tavole illustrate, predisposte al millimetro dai registi (nella disposizione di solisti e coro) per una regia che non ha pretese intellettuali, ma che sposa perfettamente lo spirito del dramma giocoso rossiniano. Dove, insieme al sorriso, non mancano i momenti patetici tipicamente rossiniani.
E c’è già il genio musicale del Rossini maturo in questo Equivoco stravagante che – tra note e trama – sembra un Barbiere di Siviglia in minore, quasi un laboratorio di idee dove sperimentare il capolavoro che verrà. Crescendo e agilità in quantità, arie, duetti, terzetti e concertati che hanno già l’ossatura rossiniana, forse meno carne, ma si capisce che arriverà. Carlo Rizzi dal podio asseconda la partitura, la restituisce nella sua integrità (edizione critica curata da Marco Beghelli e Stefano Piana) lasciandola respirare in orchestra grazie alla puntualità dei musicisti della Sinfonica nazionale della Rai.
Vestiti come i personaggi di Honoré Daumier da Agostino Cavalca cantano rossiniani doc come lo strabordante (di voce e di comicità) Davide Luciano, capace con il suo carisma scenico e musicale di calamitare l’attenzione ogni volta che entra in scena: sul palco è Buralicchio, il ricco pretendente di Ernestina. Paolo Bordogna sfodera tutti i tic del basso buffo per disegnare diligentemente (ma non di più) il vecchio Gamberotto, padre della ragazza. Pavel Kolgatin, tenore dallo squillo generoso, va a segno con la grande aria patetica di Ermanno, il maestro di filosofia, e commuove nella scena del carcere dove si reca a salvare l’amata Ernestina. Che è Teresa Iervolino, solitamente ottima interprete, ma qui inspiegabilmente un po’ sottotono (nei recitativi, poi, che tutti cantano in voce, sfodera un parlato che – potrebbe starci, scelta stilistica lecita, intendiamoci – non torna nel disegno complessivo della lettura musicale). Puntuale Manuel Amati nel ruolo del servo Frontino che fa nascere l’equivoco stravagante che scatena la trama. Incisiva (nei recitativi e nei concertati) e divertente (nelle gag) Claudia Muschio (la cameriera Rosalia) che si guadagna un meritatissimo e prolungato applauso a scena aperta dopo la sua aria, cesellata con precisione e gusto. Gusto rossiniano. Capace di rendere musica sublime anche quella modellata su grossolani doppi sensi.
Nelle foto Bacciardi/Amati L’equivoco stravagante al Rof