Il direttore sul podio della Filarmonica della Scala conquista con Mozart e la Quinta sinfonia di Šostakovič che interrompe per recuperare una nuova bacchetta
Le mani nude di Daniele Gatti affondano nella musica del primo movimento – Moderato indica la partitura – della Sinfonia n.5 in re minore di Dmitrji Šostakovič. Un flash. L’attacco alla Filarmonica della Scala il direttore d’orchestra milanese l’aveva dato con la bacchetta. Che fine ha fatto? La risposta dopo alcuni minuti di musica bellissima, densa e intrisa di umanità. Gatti si gira verso il pubblico e mostra il moncherino della sua bacchetta alla quale è rimasta solo l’impugnatura. Si scusa, solo con i gesti. Nessuna parola perché le note sono ancora nell’aria. Ma il messaggio è chiaro: si è rotta la bacchetta, me ne serve un’altra. Scende dal podio e attraversa le file dei violini. Esce da dove era entrato, dal palco di proscenio di sinistra. Passa una manciata di secondi e torna con una nuova bacchetta – ogni direttore viaggia con i ferri del mestiere, più di uno. Indispensabile per governare il magma musicale della Quinta con i suoi attacchi millimetrici e le sue bordate di suono. La bacchetta nella destra per tracciare il percorso. La sinistra libera di chiedere ai musicisti di restituire la musica di Šostakivič con uno sguardo interiore, ripiegato su se stesso (non rinunciatario, però) e per nulla trionfalistico che è il colore che Gatti ha voluto dare alla sua lettura della pagina celeberrima del compositore russo.
Un gesto e il direttore ferma l’applauso del pubblico partito spontaneo e carico di affetto. La musica riprende, quella del secondo movimento, l’Allegretto, della Quinta di Šostakovič. Un lampo di fulminea bellezza. Magia intatta. Si rientra subito in piena Quinta come se la pausa di riflessione fosse stata messa lì appositamente per meditare su quanto ascoltato sino ad allora. Un far sedimentare il racconto del primo tempo dove emerge in tutta la sua forza il nucleo del racconto sinfonico, lo ricorda lo stesso compositore, «il divenire, la realizzazione dell’uomo, l’individuo umano con tutte le sue emozioni e le sue tragedie». L’Allegretto è un momento di spensieratezza, come ce ne sono nella vita, che prepara il cuore (e la mente) a quando il sorriso si fa malinconico, alla grande meditazione che è il Largo. Pagina piena di emozione, dove Gatti raggiunge un vertice di poesia assoluta. Musica pura. Godimento della mente nel continuo crescere e mutare della melodia che racconta in musica il pensiero sulla vita. Dentro chi ascolta ci mette la sua vita, fa scorrere ricordi e immagini, riempie le note di vissuto. Lo rivive. Lo assimila guardandolo da un’altra prospettiva. Potere della musica. La grande musica. Che ti fa guardare con l’ottimismo di chi spera al futuro. Aspetto che nell’Allegro non troppo di Gatti perde qualsiasi contorno (facilmente) trionfalistico per farsi verità e certezza di chi può parlare e raccontare la vita perché l’ha vissuta, ci si è sporcato le mani, ci si è immerso senza timore di soffrire. E ne è uscito vincitore.
Applausi trionfali (non sempre e non con tutti gli orchestrali restano seduti ad applaudire il direttore sul podio) alla faccia di chi aveva visto nella bacchetta spezzata un segnale non beneaugurante per la serata. Che si era aperta, a bacchetta ancora intatta, con la Sinfonia n.29 in la maggiore di Wolfgang Amadeus che con Gatti diventa il Mozart che non ti aspetti, che non ti fa continuamente tamburellare le dita della mano o tenere il tempo con il piede, perché ti spiazza nel suo continuo cambiare direzione, nel suo ripetersi sempre diverso e sempre con un colore quasi impercettibilmente mutato. Un Mozart diciottenne che ha già gli strumenti (e la vita) per dire qualcosa da adulto. Gatti lo fa mirabilmente con un suono trasparente e cristallino, quasi fragile nel suo spezzarsi e moltiplicarsi. E già alla fine della prima parte di serata porta a casa quattro chiamate in proscenio (cosa abbastanza rara nelle serate solitamente tiepide di entusiasmo del pubblico della Filarmonica).
Gatti torna trionfalmente a Milano. Sorride per un affetto ritrovato immutato (se non aumentato) da parte della sua città che lo vedrà a fine maggio varare una nuova orchestra, laFil, con le prime parti delle orchestre lirico-sinfoniche italiane, dei Wiener e dei Berliner philharmoniker insieme a giovani di talento. Il 31 maggio e il 2 giugno al Palazzo delle Scintille di City Life l’integrale delle Sinfonie di Robert Schumann, mentre in autunno toccherà a Johannes Brahms. E poi il ritorno con un’opera nella prossima stagione del Teatro alla Scala, il Pelleas et Melisande di Claude Debussy.
Nella foto @Luca Piva Daniele Gatti sul podio della Filarmonica della Scala