Luigi De Angelis mette gli spettatori sul palco dentro la scena per una versione urban del capolavoro di Monteverdi Protagonisti i giovani musicisti della Civica Abbado di Milano
La notizia della morte di Euridice arriva sui monitor che segnalano le fermate del metrò, diffusa dal telegiornale di Cremona1, che apre l’edizione speciale con tanto di inviata sul campo a raccontare la tragica scomparsa. Orfeo apprende la morte della sua amata così, mentre viaggia da Cremona verso Mantova, su un treno dove viaggiano con lui gli spettatori (che diventano parte irrinunciabile dell’azione) di questo originalissimo Orfeo nel metrò, titolo modificato, ma partitura fedele al capolavoro di Claudio Monteverdi. Il treno è il 1607. Lo stesso anno in cui il musicista cremonese si è inventato il melodramma così come lo consociamo oggi, mandando n scena il suo Orfeo a palazzo Ducale a Mantova. Un treno, il 1607, ricostruito sul palco del Teatro Ponchielli di Cremona per lo spettacolo che ha inaugurato (quattro repliche tutte esaurite) l’edizione 2019 del Monteverdi festival. Un treno sul quale sale una donna cieca: non chiede soldi, come capita nei vagoni del metrò di molte città, ma racconta anche lei, la Messaggera, la morte di Euridice.
L’idea di questo Orfeo alternativo, ma fedelissimo allo spirito di Monteverdi, è venuta a Luigi De Angelis, regista italo-belga, fondatore con Chiara Lagani (che a Cremona ha firmato i costumi, apparentemente quotidiani, ma drammaturgicamente modellati sul mito, scene e luci sono di De Angelis) della compagnia teatrale Fanny & Alexander, gruppo di ricerca che da sempre ha creato spettacoli/installazione tra musica, parola e immagine. Come in questo Orfeo in metrò. Nato da un laboratorio ad Anversa con ragazzi delle scuole e trasformato in spettacolo compiuto a Cremona. Anche qui con un gruppo di giovani. I ragazzi della Civica scuola di musica Claudio Abbado di Milano, quelli dei corsi di musica barocca riuniti nell’orchestra diretta da Hernán Schvartzman (anche raffinato clavicembalista) e quelli dei corsi di canto rinascimentale e barocco preparati da Roberto Balconi. E gli studenti dell’istituto di istruzione superiore Stradivari che hanno decorato con graffiti urbani i vagoni del metrò ricostruito sul palco del Ponchielli.
Si entra da un corridoio dei palchi. Si arriva direttamente in palcoscenico e si sale in treno accolti da due militari in mimetica (che poi si riveleranno essere Plutone e Proserpina). Si prende posto. I monitor indicano il percorso: Cremona-Mantova-campi di Tracia. I luoghi di Monteverdi, i luoghi del racconto che convivono in questa esperienza di teatro totale. L’orchestra barocca è a bordo del treno sul quale sale una ragazza con chiodo e cappellino (sopra c’è il suo nome, la Musica) che chiedendo «scusa del disturbo» canta una canzone (che è la tirata che Monteverdi affida nel prologo proprio alla musica) e cerca di vendere ai passeggeri i suoi cd (guarda caso un’incisione proprio di Orfeo). Ha la voce bella e la disciplina perfettamente barocca di Arianna Stornello (che sarà poi anche la Messaggera e Proserpina).
Dai finestrini si vede la stazione di Cremona, si vedono le case che lasciano poi spazio ai campi. Nuova fermata e salgono i pastori che sono poi esempi di quell’umanità che popola le nostre metropolitane, quelle scavate nel sottosuolo, dove oggi può abitare, suggerisce De Angelis, Orfeo, sottosuolo che richiama gli inferi nei quali l’eroe discende per cercare di riportare in vita Euridice. Sono Michele Gaddi, Danilo Pastore, Stefano Maffioletti, Marco Tomasoni e Martha Rook. C’è chi vende ombrelli. Chi mette in mano agli spettatori/passeggeri un pezzo di carta – la scritta non è quella cui siamo abituati «Ho fame. Un aiuto se potete», ma una frase dell’opera «Alcun non sia che disperato in preda si doni al duol» – e poi ripassa a chiedere un euro. Viaggiatori metropolitani che vedono nascere l’amore di Orfeo ed Euridice che si fanno selfie e video con il telefonino. Che apprendono la notizia della morte della ragazza. Che assistono impotenti al dolore di Orfeo che affida i suoi lamenti non alla lira, ma ad un basso elettrico con il quale tenta di convincere prima Caronte (il guardiano notturno della metropolitana Ade che appare nei monitor davanti alla sua postazione in guardiola) e poi Plutone (il militare che chiede ai passeggeri i documenti), entrambi affidati a Lorenzo Tosi. Inferi che stanno in platea. Si alza la scenografia, si apre il sipario e scopre la platea del Ponchielli vuota: mezzeluci nei palchetti vuoti ai quali si rivolge Orfeo. Che ha il perfetto physique du role adolescenziale di Antonio Sapio, concentratissimo nel portare a termine con successo una parte impegnativa con un canto sempre intonato, tecnicamente impeccabile ed emotivamente coinvolgente.
Orfeo riuscirà a strappare Euridice (che ha la voce di Veronica Villa) alla morte, ma sappiamo come andrà a finire: la paura di non averla dietro le spalle nel viaggio di ritorno lo farà voltare così la perderà per sempre. Sarà Apollo a rimettere le cose a posto e comparendo (in scarpe da ginnastica e maglietta dorata) poterà Orfeo da Euridice in cielo: ancora una volta si apre il sipario, i due si incamminano nella sala vuota. Intanto il treno riparte, si ripopola di un’umanità che abita le nostre città. E riporta noi spettatori/viaggiatori alla nostra quotidianità. Fatta di viaggi. Di amore. Di dolore che trova un senso solo se illuminato dalla speranza.
Nelle foto @Giacomo Volpi Orfeo a Cremona