Ariadne auf Naxos con luci strobo in una regia anni Settanta Allestimento firmato da Wake-Walker che delude ancora Dirige (bene) Welser-Möst, canta (benissimo) la Stoyanova
Il vestito di Bacchus, giacca e pantaloni bianchi, lo fa assomigliare tanto al Tony Manero de La febbre del sabato sera. Così come il body nero che indossa Zerbinetta la rende la copia della Liza Minnelli di Cabaret. Loro, insieme ad una Primadonna che potrebbe essere uscita da un telefilm del Tenente Colombo e a un Musiklehrer vestito come un indiziato della serie de L’ispettore Derrick, si muovono prima in una sala di un palazzo nobiliare dove sono state parcheggiate due roulotte da carovana del circo e poi in uno studio di registrazione/studio televisivo (che dovrebbe essere Nasso, l’isola sulla quale nel mito Arianna viene abbandonata da Teseo) dove i pannelli bianchi sono invasi da proiezioni optical e multicolr. E ti viene in mente lo Studio54 di Saturday night fever.
Un immaginario decisamente anni Settanta quello scelto Frederic Wake-Walker per Ariadne auf Naxos di Richard Strauss. Titolo in scena al Teatro alla Scala (dopo la prima di martedì, repliche sino al 22 maggio) con il sovrintendente Alexander Pereira (applaudito) nel ruolo (parlato) del Maggiordomo: livrea rossa in perfetto stile Settecento (anche da domatore di circo, in realtà), Pereira sale per la prima volta sul palco a Milano dopo aver interpretato la stessa parte a Zurigo. Bacchetta di Franz Welser-Möst capace in pochi giorni di prove (il progetto iniziale prevedeva Zubin Mehta sul podio) di trovare un suono straussiano (organico da camera e buca d’orchestra rialzata come nelle opere barocche per far arrivare meglio il suono in platea) che tra malinconie e sorrisi imparenta ancor più strettamente Ariadne al Rosenkavalier.
Allestimento nuovo di zecca commissionato al regista britannico dopo le non esaltanti prove mozartiane de Le nozze di Figaro (contestatissimo) e La finta giardiniera. E anche questa Ariadne non fa eccezione: Wake-Walker, che in passato aveva azzardato idee, questa volta sembra rinunciare a qualsiasi lettura dell’opera per limitarsi a dirigere il traffico di entrate e uscite e per puntare tutto solo su una visione estetica (ma il cattivo gusto è in agguato, vedi la grotta di Ariadne che, certo involontariamente, sembra un grande water con la tavoletta che si alza e che si abbassa) che non sempre è sinonimo di bello.
Eppure la musica è straordinaria, capace di raccontare un mondo posto di fronte al cambiamento: il meccanismo (geniale libretto di Hofmannsthal) è quello apparentemente semplice del teatro nel teatro che si fa complesso nel mettere di fronte mondi, generazioni, valori che parlano più che mai al nostro presente. Troppo pensiero, troppa profondità che non può essere ridotto a un semplice gioco. Welser-Möst scava in questo magma. Lo fanno i cantanti. Krassimira Stoyanova è un’eccellente Ariadne, sempre misurata, capace di fare una cosa sola di canto e parola. Sabine Devieilhe non sbaglia un acuto di quelli impervi di Zerbinetta, Michael Koenig è un musicale Bacchus. Locandina lunghissima con il Compositore di Daniela Sindram, il Musiklehrer di Markus Werba, l’arlecchino di Thomas Tatzl e il maestro di ballo di Joshua Whitener.
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Ariadne auf Naxos
Articolo pubblicato su Avvenire del 25 aprile 2019