La tomba vuota di Lazzaro
Una notte oscura, la notte del dubbio e dello sconforto, cala nella “famiglia” di Gesù. La racconta, ancora una volta Giovanni nel suo Vangelo (11, 1-53)
Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».
L’angoscia per l’addio a una persona cara. Gesù vive i sentimenti che sono di tanti, anche oggi. Giovanni, nel capitolo undicesimo del suo Vangelo, sembra aprire una parentesi, sembra scrutare timidamente un momento privato della vita di Gesù. La perdita di un amico, quel Lazzaro che molte volte lo aveva accolto in casa sua insieme alle sorelle, Marta e Maria. A loro, si legge nel Vangelo, Gesù voleva molto bene.
Una frase di Gesù allarga il respiro, porta su un piano universale una vicenda intima.
Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato.
Come già capitato con il cieco nato, anche con Lazzaro la morte diventa strumento per mostrare il disegno di Dio, per indicare che per celebrare la gioia della Pasqua occorre morire ed essere sepolti con Cristo per poter risorgere con lui.
Gesù disse: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s’è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!».
Richard Strauss, Tod und Verklärung
Richard Strauss. Tod und Verklärung. Morte e trasfigurazione. Ecco in musica, nel poema sinfonico che il musicista tedesco scrive nel 1889, un passaggio necessario. Perché, dice Giovanni nella pagina evangelica, aver fede non vuol dire essere risparmiati dalla morte. Cristo ci salva “nella” morte, non elimina il limite che è della natura, ma ci aiuta a scoprire che il limite non ci annulla definitivamente. Prospettiva che sembra l’opposto di quella che ci offre la società dove, a fronte di una morte esibita in tv dove finzione e realtà si confondono, si fa di tutto per eliminare il dolore o per pianificare la morte. Salvo poi rimanere disorientati quando la sofferenza arriva improvvisa. Ingiusta, come nella morte di un bambino.
Eccolo il dolore nel primo dei Kindertotenlieder, i Canti per i bambini morti di Gustav Mahler. Cinque pezzi per voce e orchestra, eseguiti nel 1905 e composti dal musicista austriaco su testi di Friedrich Rückert.
Gustav Mahler, Kindertotenlieder, «Nun will die Sonn»
La sciagura è avvenuta: certo, a me solo è toccata
e il sole splende ovunque e per tutti gli altri, là fuori
Ora il sole osa sorgere e splendere ancora canta la voce solista che poi alza in alto lo sguardo: Non devi in te la notte rinchiudere, e nasconderla, ma lasciarla affondare e perdersi nella luce eterna.
Lo stesso atteggiamento di Marta e Maria, nello sconforto per la morte del fratello.
Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.
Eccole le due sorelle, nello stresso atteggiamento già incontrato nel Vangelo: Marta indaffarata, Maria seduta in contemplazione. Diverse, ma unite nel bonario rimprovero a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».
Giovanni ci racconta il percorso di fede che compie Marta.
Disse Marta: «So che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno».
Olivier Messiaen, Et exspecto resurrectionem mortuorum
Et exspecto resurrectionem mortuorum. Il compositore francese Olivier Messiaen nel 1964 mette in musica il passaggio del Credo in cui si proclama la fede nella Resurrezione e nella Vita.
«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose Marta: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».
Marta lo dice così. Ha fede nelle sue parole. Glielo dice la tradizione ebraica. Quella dei grandi profeti di Israele: Ezechiele con la visione della resurrezione delle ossa secche e Isaia certo che Dio sopprimerà la morte per sempre e asciugherà le lacrime su tutti i volti. Glielo dice Gesù che fa toccare con mano, a lei e alla sorella Maria, che lui è la Resurrezione e la Vita.
Quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l’avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!».
Le lacrime per la perdita di un amico. Le lacrime di Dio. Sembra di sentirle in questa pagina del Don Carlo di Giuseppe Verdi. Pagina di raro ascolto perché fa parte della versione in cinque atti del melodramma che il musicista rivide per i teatri italiani togliendo questo brano. Brano che, però, a volte alcuni direttori recuperano. Filippo e Carlo piangono la morte dell’amico Rodrigo. Verdi usa un materiale musicale che poi confluirà nella Messa da Requiem, nell’intenso Lacrymosa.
Giuseppe Verdi, Don Carlo, «Chi rende a me quest’uom… Sì io l’amai…»
Sì, io l’amai, il nobil suo pensiero. A me rivelava il mondo del futuro
Perché… viviamo ancora… È invan che noi viviamo ancora
Il dolore e la speranza si intrecciano. Come a Betania, davanti alla tomba di Lazzaro tra il già delle lacrime e il non ancora della consolazione.
Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».
Sepolcro, grotta, pietra, piedi, mani, bende, sudario. Parole che Giovanni mette in questa pagina per dire che la morte, la sepoltura e la risurrezione di Lazzaro è un’anticipazione della Pasqua di Gesù.
Lo sanno Blanche e Constance, le due suore che nei Dialogues des Carmelites di Francis Poulenc vegliano la salma della Priora e invocano per lei la Resurrezione nell’ultimo giorno. Un’opera che il compositore francese ha tratto dall’omonimo dramma di Georges Bernanos e che ha mandato in scena in prima assoluta nel 1957.
Francis Poulenc, Dialogues des Carmelites, «Qui Lazarum resuscitasti»
Qui Lazarum resuscitasti a monumento foetidum.
Tu eis, Domine, dona requiem et locum indulgentiae.
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.
Ma all’orizzonte c’è il Calvario. Perché i sommi sacerdoti e i farisei: da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.