La luce negli occhi del cieco
Una preghiera a Jahvé risuona nel Tempio. È sabato. Ecco la scena raccontata da Giovanni nel suo Vangelo (9. 1-41). Fuori dalla porta un uomo tende la mano. È cieco dalla nascita. Chiede l’elemosina. Gesù è con i suoi discepoli e lo vede. Lo fissa. Sa che quell’uomo è uno strumento per rivelare il disegno di Dio.
I suoi discepoli lo interrogarono: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?
I conti non tornano. Impregnati della cultura del tempo, quella per la quale ogni malattia era legata ad un peccato specifico, i discepoli buttano lì la domanda con una certa naturalezza. È la risposta di Gesù a spiazzare.
Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
I conti non tornano nemmeno a Tosca. In una sorta di fermo immagine cinematografico Giacomo Puccini, nell’opera andata in scena a Roma nel 1900, porta in primo piano l’anima della cantante, mette a nudo il cuore della donna che vede il suo amato Cavaradossi condannato al patibolo. Per salvarlo dovrebbe concedersi a Scarpia.
Giacomo Puccini, Tosca. «Vissi d’arte»
Vissi d’arte, vissi d’amore, non feci mai male ad anima viva!
Sempre con fe’ sincera, la mia preghiera ai santi tabernacoli salì.
Nell’ora del dolore perché, perché Signore, perché me ne rimuneri così?
Non feci mai male ad anima viva… canta Tosca. Che alza gli occhi al cielo, elenca il bene compiuto e conclude con un amaro Nell’ora del dolore, perché Signore me ne rimuneri così?
Perché? La domanda dell’uomo di fronte al male. La domanda dei discepoli di fronte al cieco nato che chiede l’elemosina. Ma la cecità è strumento perché si manifestino le opere di Dio. Lo dice la risposta di Gesù.
Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo.
Eccola la notte. La notte del dolore. Della paura. Del male.
Eccola raccontata da Gioacchino Rossini nel Moïse et Pharaon, opera andata in scena all’Opera di Parigi nel 1827. Sull’Egitto sono piombate le tenebre. Una delle dieci piaghe.
Gioachino Rossini, Moïse et Pharaon, «Ah! quel désastre!»
Ah! che disastro! Oh cielo! Chi ci libererà da questa orribile oscurità!
I miei sensi sono agghiacciati. Dio, che terrore mortale! Ah, soccombo al mio dolore!
Questa notte spaventosa mi fa palpitare il cuore. Ah, soccombo al mio dolore!
La notte dell’assenza di Dio. La notte che c’è negli occhi del cieco, un uomo che rappresenta tutti noi uomini. La notte dell’inizio. Quando la Parola creatrice ha dato origine al mondo. Con il Cieco nato Gesù compie una nuova creazione.
Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco. E gli disse: Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato). Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Va’ a lavarti. Un altro imperativo come quello di Dio nella Genesi: Sia la luce!
La luce che pian piano sconfigge le tenebre. Che arriva alla fine di un percorso di redenzione. Il cieco si è lavato nella piscina di Siloe. Quasi un battesimo.
Wolfgang Amadeus Mozart mette questa luce alla fine del suo Die zauberflöte, Il flauto magico, opera datata 1791 e andata in scena a Vienna. Sarastro e i sacerdoti inneggiano a Iside e Osiride – la vicenda è ambientata in Egitto: Tamino ha vinto le forze del male.
Wolfgang Amadeus Mozart, Die zauberflöte, «Heil sei euch Geweihten»
La fermezza ha trionfato ed ha coronato la bellezza e la saggezza per l’eternità!
Ma il finale del racconto evangelico non è rassicurante. Ecco di nuovo il dubbio dietro l’angolo.
I vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina? Alcuni dicevano: È lui; altri dicevano: No, ma gli assomiglia. Ed egli diceva: Sono io!
Ecco il dito puntato. Chi ti ha aperto gli occhi? Il cieco lo deve ripetere per tre volte. Come tre volte Pietro ha rinnegato il Signore: Non conosco quell’uomo. E come tre volte ha fatto la sua professione di fede: Signore tu sai tutto tu sai che ti amo.
Anche il cieco per tre volte fa la sua professione di fede. Corre il rischio di rimanere solo: lo hanno abbandonato i genitori, i giudei lo cacciano dal tempio. Ma lui non si ferma e dice il suo credo.
La prima volta. Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?. Egli rispose: È un profeta! La seconda. Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi? Rispose loro: Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli? La terza davanti allo stesso Gesù. Gesù incontratolo gli disse: Tu credi nel Figlio dell’uomo? Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui?. Gli disse Gesù: Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui. Ed egli disse: Io credo, Signore! E gli si prostrò innanzi.
Gioachino Rossini, Petite Messe solennelle, «Credo»
Nella Petite messe solennelle, monumentale pagina datata 1863, Gioachino Rossini fa ripetere per tre volte al coro Credo. Come Pietro. Come il cieco. Come l’uomo che nella luce ritrovata riconosce la verità.
Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi.
Goffredo Petrassi, Noche oscura
Luce per chi crede. La notte per chi rifiuta di guardare la verità. La Noche oscura che Goffredo Petrassi nel 1950 racconta in musica ispirandosi a San Giovanni della Croce. La notte del dubbio. La notte dello sconforto.
Alcuni dei farisei gli dissero: Siamo forse ciechi anche noi? Gesù rispose: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane.
Per questo, per salvare l’uomo, Gesù riprende la sua strada. Che lo porta al Calvario.