La verità che rende liberi
La rinuncia al male. L’acqua che da’ la vita eterna. Ora il riconoscimento della verità. Approda a Gerusalemme il cammino battesimale e quaresimale. Arriva nel cuore dell’ortodossia. Nel Tempio. E vede un acceso confronto tra Gesù e i Giudei. Cristo si manifesta, si rivela, ma i Giudei non vogliono riconoscerlo. A loro basta la tradizione, basta essere figli di Abramo. Giovanni, nel capitolo 8 del suo Vangelo, ci porta subito nel cuore del dibattito tra Gesù e quei Giudei che avevano creduto in lui.
Noi siamo discendenza di Abramo.
Eccola la certezza dei Giudei che, avendo visto le opere di Gesù, avevano creduto in lui. Cristo, dunque, coglie l’occasione, parte da un episodio concerto per provare ad intavolare un discorso più complesso con persone che, a quanto pare, gli avevano teso la mano, si erano messe in suo ascolto. Fedeli al Dio di Giuda, come lo chiama Giuseppe Verdi nel Nabucco, il primo successo del musicista, andato in scena al Teatro alla Scala nel 1842 e capace di scaldare i cuori dei patrioti con il Va’ pensiero. Eccolo il Dio della tradizione che soccorre la mente del re che rinsavisce dalla pazzia. Un porto sicuro. Un approdo dopo gli anni dell’idolatria, dopo il vagare senza meta.
Giuseppe Verdi, Nabucco, «Dio di Giuda»
Dio di Giuda, l’ara, il tempio a te sacri sorgeranno. Deh mi togli a tanto affanno e i miei riti struggerò.
Tu m’ascolti, già dell’empio rischiarata è l’egra mente! Dio verace, onnipossente adorarti ognor saprò.
Nel Vangelo di Giovanni Gesù provoca i Giudei.
Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.
Ludwig van Beethoven, Fidelio. «Ouverture Leonore n.3»
Sentendo le trombe che squillano sembra di vederle queste parole incidersi a fuoco nella pietra. Le trombe in lontananza annunciano la libertà per i prigionieri. Ludwig van Beethoven le vuole fuori scena nella Ouverture Leonore n.3. Pagina scritta per la versione del Fidelio del 1806 – l’opera debuttò nel 1805 –, venne tolta dalla versione definitiva del 1814. Ma sono molti i direttori che oggi, dirigendo il singspiel del musicista tedesco, decidono di eseguire l’ouverture prima del finale, subito dopo che Leonore, celandosi sotto i panni maschili di Fidelio, ha trovato il marito Florestan, ingiustamente imprigionato dal tiranno Don Pizarro. Ecco la verità che fa liberi. E che trascolora in un canto di gioia.
Riaprendo la pagina evangelica, però, qualcosa stride: sono le parole dei Giudei.
Noi non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?
I Giudei pensano che basti essere della stirpe di Abramo per avere la vera libertà. Per Gesù non è così.
Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
Schiavi dell’egoismo. Schiavi del peccato. Schiavi delle nostre cose. Sembra di vedere l’uomo di oggi specchiarsi nelle catene che tengono legati i Giudei alla loro tradizione. L’uomo che guarda solo al passato, incapace di liberarsi di schemi precostituiti per essere davvero libero. Tradizione che imprigiona, che non permette di fare il salto chiesto da Gesù, quello di diventare liberi attraverso di lui, figlio del Padre che è nei cieli.
Ed ecco che la vita, allora, diventa un nostalgico e perenne sguardo all’indietro. A un paradiso dal quale pensiamo di essere stati strappati, senza capire che è quella la meta che il Signore ci ha preparato e che ci invita a raggiungere nel nostro cammino.
Richard Strauss, Der Rosenkavalier, «Sequenza di valzer n.1»
Ecco la nostalgia sterile di una tradizione che non sa guardare oltre. Richard Strauss, messo a questo punto, sembra alleggerire un dibattito complesso. In realtà il musicista, a ritmo di valzer, racconta una società al tramonto che non sa guardare al futuro, che manca l’appuntamento con la fiducia nel domani, perché troppo impegnata a guardare indietro. Nel Rosenkavalier, opera andata in scena nel 1911 a Dresda, la nostalgia è la cifra dominante. Imprigiona. Lega. E raccontata con la leggerezza di una danza mette un brivido ancora più sinistro. Lo stesso che si avverte nelle parole dei Giudei.
Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio! dicono per rispondere a Gesù che li aveva avvertiti: Non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Gesù e i Giudei sembrano parlare due linguaggi diversi. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica. Così Gesù risponde ai Giudei. Così sembra rispondere a chi non vuole gettare oltre lo sguardo per vedere la novità sconvolgente del cristianesimo. I giudei, rifiutando la rivelazione di Gesù, dimostrano di avere per padre il diavolo, il padre dell’odio e della menzogna, della cui azione sono succubi. Ma Cristo non si ferma: In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte.
Libera me, Domine, canta il soprano alla fine del lungo viaggio negli abissi dell’uomo che è la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. Pagina pensata per la morte di Gioachino Rossini (avvenuta nel 1869), la grande pagina venne eseguita nella chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874: sul podio lo stesso Verdi per celebrare, ad una anno dalla sua morte lo scrittore Alessandro Manzoni.
Giuseppe Verdi, Messa da Requiem, «Libera me, Domine»
Libera me, Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda quando caeli movendi sunt et terra
Al termine, sul Libera me, domine, la musica è come se rimanesse sospesa, quasi quel Libera me non fosse più una richiesta, ma avesse un punto di domanda come a dire: Mi libererai dalla morte? Perché il salto della fede, il salto della verità è umanamente difficile da compiere. Lo dice il trincerarsi dietro un muro dei Giudei
Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò. Gli dissero allora i Giudei: Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? Rispose loro Gesù: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono.
Io Sono. Jahvè, il nome di Dio. Che risuona, intensa preghiera, alla fine del verdiano Nabucco.
Giuseppe Verdi, Nabucco, «Immenso Jeovha»
Immenso Jeovha, chi non ti sente? Chi non è polvere innanzi a te?
Tu spandi un’iride, tutto è ridente. Tu vibri il fulmine, l’uom più non è
Eccola la verità. Che i Giudei non vogliono ascoltare. E, come chi oggi mette a tacere la voce di Dio, per zittire Gesù raccolsero pietre per scagliarle contro di lui. Ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.