Raffaele Pe, il mio Cesare antieroe moderno

Da Händel a Piccinni a Bianchi tutte le facce dell’imperatore nel cd del controtenore con arie inedite di opere del ‘700 Alcune tracce in anteprima del disco inciso con La lira di Orfeo

Barocco e serie tv hanno molto in comune, più di quello che si possa pensare. Detto così potrebbe sembrare un accostamento forse un po’ azzardato. Ma non troppo. Il perché lo spiega Raffaele Pe. Controtenore. Nato a Lodi, una carriera che in poco tempo lo ha visto collaborare con i maggiori esponenti della scena barocca, da  Jordi Savall a William Christie, da John Eliot Gardiner a Jean-Christophe Spinosi, da Ottavio Dantone a Diego Fasolis. Protagonista nei più importanti teatri e festival – a novembre canterà Rinaldo di Händel diretto da Dantone nel Circuito lirico lombardo, ad aprile il debutto al Theater an der Wien con Orlando, ancora Händel, diretto da Giovanni Antonini e la regia di Claus Guth –, esponente della nuova generazione di controtenori che riporta alle origini la vocalità barocca. Lo fa in teatro. E lo fa in disco. Giulio Cesare. A baroque hero, pubblicato da Glossa, esce venerdì 19 ottobre nei negozi. «I compositori barocchi e gli sceneggiatori delle serie che oggi vanno per la maggiore sulle varie piattaforme più che eroi tutti d’un pezzo raccontano antieroi, più che uomini senza macchia e senza pecche raccontano un’umanità che non ha paura di mostrare le proprie fragilità». Ecco spiegato il sottotitolo del disco, inciso da Pe con l’ensemble La lira di Orfeo diretto da Luca Giardini. Giulio Cesare è un Baroque hero, come suggerisce il titolo del disco, perché «il Settecento musicale ce lo racconta non solo nel suo essere monolitico, tutto d’un pezzo, un uomo pubblico di successo, vittorioso in battaglia, come siamo da sempre abituati a pensarlo, ma ce lo racconta nella sua intimità di amante, nel suo essere anche politicamente insicuro. Nella sua umanità». Eroe di una quotidianità che ce lo avvicina «e lo rende una figura estremamente moderna».

È questo, Raffale Pe, il ritratto dell’imperatore che esce dal suo progetto discografico?

È il ritratto di un uomo che ha le nostre stesse fragilità. Sicuramente il registro di soprano aiuta a sottolineare questo aspetto quotidiano. Per questo mi sono venute in mente drammaturgie del novecento, i film, le serie tv di oggi che ci raccontano storie di antieroi. Come appare Cesare nelle riletture musicali settecentesche.

Questa modernità è suggerita anche dalla copertina del disco dove il suo volto si sovrappone a quello di Cesare, per fare un unico ritratto. Come lo ha tratteggiato, invece, in musica?

Racconto Giulio Cesare attraverso gli autori settecenteschi che hanno messo la sua storia in musica. Giulio Cesare è stato uno dei primi personaggi che ho incontrato nel mondo dell’opera. Uno dei primi melodrammi che ho ascoltato è stato il Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel. Ero al liceo e mi colpì il fatto che un personaggio così eroico fosse affidato non alla vocalità di tenore o di baritono, ma di controtenore, registro affascinante per la grande possibilità espressiva che offre. Ho iniziato così anche il mio percorso di ricerca vocale. Con questo disco in qualche modo si chiude un cerchio: grazie ad amici esperti in questo settore negli ultimi due anni siamo riusciti a raccogliere diverse partiture su questo soggetto, scritte da compositori geniali e al tempo famosi, ma oggi pressoché sconosciuti. Abbiamo scelto alcune arie che raccontano, sì, il personaggio Cesare, ma che rivelano anche la grande perizia musicale di autori italiani come Carlo Francesco Pollarolo e Geminiano Giacomelli, Niccolò Piccinni e Francesco Bianchi. Tutte le arie, tranne quelle del Gulio Cesare di Händel non sono mai state incise e le presentiamo in prime esecuzioni in tempi moderni.

Va tacito e nascosto da Giulio Cesare di Georg Frideric Händel

Un viaggio attraverso un secolo di musica.

Il Settecento, soprattutto in musica, non è un periodo unitario, caratterizzato da un unico stile. Anzi. Presenta tantissime voci e tantissimi modi di scrivere musica, tanto che nel giro di due o tre anni lo stile e il gusto poteva cambiare completamente. Lo testimoniano le arie scelte. Partiamo dal 1713 di Pollarolo, i cui manoscritti non sono più nemmeno in Italia, ma a Washington, per finire con 1788 di Bianchi. C’è naturalmente Händel il cui virtuosismo, però, è superato da quello degli autori italiani, capaci di una scrittura che permette agli interpreti una grande libertà e creatività interpretativa. Le arie che interpreto vennero interpretate dai più grandi cantanti dell’epoca, Carestini, Aprile, Appiani, Pacchiarotti. Dopo di loro la vocalità cambierà e i futuri Cesari saranno affidati a tenori o baritoni. Finisce un’epoca. Ed è curioso che l’ultimo autore, Bianchi,  non racconti le imprese di Cesare, ma la sua fine, il tirannicidio per mano di Bruto: la sua opera si intitola, infatti, La morte di Cesare.

Rasserena i mesti rai da La morte di Cesare Cesare di Francesco Bianchi

Quale dei Cesari è il più vicino alla sua sensibilità umana e musicale?

Una grande scoperta è stata la scrittura di Piccinni. Nel disco interpreto due arie del suo Cesare in Egitto, una straordinariamente virtuosistica, Tergi le belle lagrime dove ci viene presentato un Cesare amante, molto preoccupato della situazione della persona amata, ma anche un Cesare che sarà sicuro di vincere in battaglia. Spargi omai di dolce oblio è un’aria di sonno, dove l’eroe è presentato in un momento di meditazione interiore. Alla fine dell’aria Cesare si addormenta, la musica si spegne lasciando spazio a un silenzio che affascina ed emoziona. Il napoletano Piccinni riesce a creare una sintesi tra quello che sarà il classicismo mozartiano e la lezione monteverdiana della musica al servizio della parola, capace di dipingere tutti gli straordinari aspetti espressivi che la nostra lunga offre.

Spargi omai di dolce oblio da Cesare in Egitto di Niccolò Piccinni

Ad accompagnarla c’è La lira di Orfeo, ensemble che ha una residenza artistica presso la fondazione Maria Cosway di Lodi.

Siamo nati nel 2014 e il nostro cuore pulsante è proprio presso la sala della musica della fondazione dedicata a Maria Cosway, educatrice e artista, mecenate vissuta tra Settecento e Ottocento che ha lasciato alla città un ricco archivio musicale. La residenza, frequentissima all’estero, in Germania e in Francia ad esempio, in Italia quasi non esiste tanto che il nostro caso è quasi un unicum: abbiamo prove aperte, conferenze, qui registriamo i nostri dischi e curiamo una stagione musicale per la città dove proponiamo i nostri concerti e invitiamo amici musicisti ad esibirsi.

Da dove nasce la sua passione per la musica? E come è diventata una professione?

Nasce da un divieto, se così possiamo dire. La mia famiglia, che mi ha sostenuto nella passione musicale, ha sempre fatta di tutto perché non diventasse la mia vita. Questo ha avuto, però, l’effetto contrario. Da ragazzo cantavo nel coro della cattedrale di Lodi dove ho conosciuto Palestrina, Monteverdi, Händel, grazie alla sensibilità del direttore che ha fatto nascere in me una grande curiosità per il Barocco. Gli studi musicali sono andati di pari passo a una ricerca personalissima che mi ha portato a esplorare vocalità del controtenore. Esplorazione partita quasi per scherzo: ascoltavo i dischi dei grandi controtenori e mi accorgevo che la mia voce era in grado di cantare con lo stesso registro. Due incisioni, in particolare, hanno segnato il mio percorso, le Leçons de Ténèbres di Couperin con Gérard Lesne e il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi diretto da William Christie Michael Chance.

Cantanti che hanno fatto la storia e che hanno aperto la strada alla riscoperta di questo registro tanto che oggi tutti i teatri, Scala compresa, quando programmano un’opera barocca scritturano controtenori. Sarà solo una moda?

Non direi. La figura del controtenore è ancora tutta da definire, non siamo in un’epoca di classicità di questo registro. Gli interpreti attuali possono davvero essere importantissimi nel costruire un nuovo immaginario vocale in questo senso. Per quel che mi riguarda sono sempre in ricerca: per preparare il disco, ad esempio, dove ci sono arie che richiedono  una grande perizia tecnica oltre che espressiva, per due anni ho ulteriormente approfondito la tecnica vocale. Certamente è un momento entusiasmante. Io lo lego anche ad esigenze registiche con la necessità di un realismo visivo con il quale i registi si devono confrontare: un eroe come Giulio Cesare va presentato in scena in modo credibile, cantato da una voce di soprano, ma con il fisico maschile, quello che offre, appunto, il controtenore.

Nelle foto @Ribalta luce studio la copertina del cd, Raffale ePe e Raffaella Lupinacci durante la registrazione