Diario verdiano. 1/2018
Al Regio con Macbeth apre il Festival: Un’opera sul male Poi Ernai al Teatro alla Scala: Una scrittura che è belcanto Ogni personaggio parla di noi. Presto Boccanegra e Iago
Da fine agosto ha fatto il pendolare. «Parma-Milano, come fanno ogni giorno tanti lavoratori». Lui, Luca Salsi, è un lavoratore della musica. Baritono. “Il” baritono per eccellenza dell’attuale scena lirica. Visceralmente verdiano, anche viste le sue radici che sono solidamente piantate a Parma. Dove lo conoscono tutti. «Posso salutarti?». «Bravissimo Luca, ti ho sentito in prova». «Mia mamma mi ha detto di farti i complimenti!». Molti lo fermano per strada per dimostrargli affetto. Lui ricambia sempre con un sorriso e una stretta di mano. «Per Giuseppe Verdi si fa di tutto, anche il pendolare» racconta il cantante, classe 1975, che stasera inaugura l’edizione 2018 del Festival Verdi di Parma con Macbeth. Pendolare, Salsi, tra il Regio e il Teatro alla Scala dove sabato vestirà i panni di un altro personaggio verdiano Don Carlo in Ernani, titolo attesissimo, che mancava da Milano dal 1982. Chiamato in corsa a vestire i panni del re. «Qando te lo chiedono il sovrintendente Alexander Pereira e il Teatro alla Scala, dove canterò molto nei prossimi anni, come dire di no». Un mese intenso di prove. «Un altro dei miei tour de force» racconta il baritono che nel 2015 al Metropolitan di New York cantò due opere nello stesso giorno: Ernani nel pomeriggio, per sostituire all’ultimo minuto Placido Domingo, e Lucia di Lammermoor la sera. «Sono riuscito a dosare le mie forze fisiche e vocali nel complesso incastro delle prove tra Parma e Milano. Da stasera, però, sarò pendolare solo nei giorni di recita».
A Parma gioca in casa. Con un titolo che ha cantato in tutto il mondo, uno dei “suoi” ruoli, quello del re scozzese raccontato da Shakespeare.
Ma qui a Parma facciamo la prima versione di Macbeth, quella che Verdi scrisse nel 1847 per Firenze. Ed è tutta un’altra opera, il ruolo di Macbeth è molto diverso, soprattutto nel secondo e terzo atto. Le difficoltà crescono perché la parte è più impervia, più acuta della seconda versione e molto più lunga: gli interventi durante le apparizioni sono molto più estesi, Macbeth canta una cabaletta in più alla fine del terzo atto e un arioso in più, che è quello della morte Mal per me che m’affidai. Dunque le difficoltà sono nella tessitura e nella tenuta perché è una partitura lunghissima. Praticamente è come cantare un’opera nuova, non il solito Macbeth del 1865. Interessante per me come interprete, ma anche per il pubblico che scoprirà così un Verdi che si ascolta poco.
Macbeth racconta il male dell’uomo e nell’uomo.
Il male in Macbeth non è in lui, ma il male di Macbeth è la Lady. Il re scozzese di suo è un personaggio debole, controverso e introverso. Non è cattivo, subisce la cattiveria della moglie. Macbeth è anche un uomo solo nella sua follia, nei suoi pensieri. Nella sua visionarietà. Direi quasi che Macbeth è un’opera di fantascienza. In fondo, forse, Macbeth, è solo pazzo perché crede alle streghe che non esistono, anche se lui crede di averle viste tanto che non contento va anche a ricercarle per chiedere ancora come sarà il suo futuro. Ma le profezie delle streghe sono solo una costruzione della sua mente, è lui che se le costruisce.
Oggi televisioni e giornali ci raccontano quotidianamente il male, presente in ogni parte del mondo, dall’Africa e Medioriente, ma anche in casa nostra. La musica di Verdi ci dice qualcosa di questo male?
L’arte deve sempre far riflettere. Il male c’è sempre stato: oggi lo conosciamo di più perché ci sono mille modi per sapere che esiste, i giornali, la televisione, internet, i social che lo raccontano quotidianamente. L’arte e la musica in particolare possono aiutare a riflettere su questo e possono aiutare a cambiare lo spirito delle persone. La musica, ne sono convinto, è un modo per trasformare le guerre in dialogo. L’ho sperimentato sulla mia pelle lo scorso anno quando con Riccardo Muti siamo andati in Iran per Le vie dell’amicizia di Ravenna festival: italiani ed iraniani, due popoli diversi, con culture apparentemente distanti, ma a Teheran ci siamo sentiti uniti da subito, dalla prima prova perché parlavamo un linguaggio comune, quello della musica. La musica può e deve essere una locomotiva per la pace.
Se i politici l’ascoltassero di più…
A dirla così sembra quasi ci sia una formula magica, ma la musica ha in sé qualcosa di inspiegabile. Se fai una passeggiata in una qualsiasi strada di una qualsiasi città, anche brutta, ma con nelle orecchie una musica che ti piace trovi tutto più bello e ti può piacere anche la città più brutta del mondo. Vedi le persone e gli oggetti in modo diverso. Potenza della musica.
Sabato al Teatro alla Scala ancora Verdi. Un personaggio prima spietato e improvvisamente buono, quello di Don Carlo in Ernani.
In venticinque secondi, nel giro di poche battute di musica, cambia. Un attimo prima vuole uccidere tutti, insultato tutti e un attimo dopo cambia, si dice pacificato, invita la donna che ama a sposare un altro. Ma anche lui, forse, è preda di visioni. Una visione mistica sulla tomba di Carlo Magno: vede che deve essere l’erede di Carlo Magno, l’uomo più buono del mondo. La vivo e la canto così altrimenti non saprei spiegarmi il senso di questo cambio repentino.
Don Carlo come Macbeth è un uomo solo…
Molte similitudini, anche se musicalmente il re di Ernani è un personaggio totalmente di verso da cantare rispetto a Macbeth, un personaggio belcantista direi con qualche guizzo verdiano dove c’è il sangue che bolle: Da quel dì che t’ho veduta, Vieni meco, la stessa aria Oh de verd’anni miei sono pieni di fioriture, chiedono un suono a fior di labbro, alto sul fiato, tante mezze voci, tanti colori. Che, intendiamoci, ci sono anche in Macbeth, ma in modo diverso, perché la musica dello stesso autore racconta due mondi lontanissmi.
Tanto Verdi, oggi, ma anche in agenda per i prossimi mesi: ancora Macbeth a Venezia. il debutto in Boccanegra a gennaio a Bari, un altro debutto, quello di Iago in Otello con i Berliner e Gatti in aprile a Baden Baden. Perché questo legame viscerale con il compositore di Busseto?
Perché in ogni personaggio di Verdi c’è qualcosa di noi. In ogni suo personaggio c’è tanta umanità. Amo in particolare Verdi perché la sua musica è sempre al servizio della parola e del racconto teatrale. Se cantassimo la sua musica facendo solo «la… la … la…» senza la parola l’intenzione uscirebbe lo stesso, perché lui scrive tutto talmente al servizio d quello che canti che si comprende benissimo, su un’aria d’amore scrive una melodia d’amore, in un’opera come Macbeth crea un clima di inquietudine. Se guardi oltre la nota capisci che Verdi crea già il personaggio, l’atmosfera di quello che stai cantando. La grandezza di Verdi è di servire il testo, la parola scenica, certo, bisogna avere la capacità di capirlo, di scavare sotto la nota scritta. E tutto poi viene naturale.
Due Verdi in due giorni: Macbeth a Parma, Ernani alla Scala
Due debutti in due giorni per Luca Salsi. Stasera, giovedì 27 settembre, è il protagonista del Macbeth che al Teatro Regio inaugura l’edizione 2018 del Festival Verdi di Parma. Sul podio Philippe Auguin alla guida della Filarmonica Toscanini e del coro del Regio di Parma. La Lady è Anna Pirozzi, Banquo Michele Pertusi, Macduff Antonio Poli, Malcolm Matteo Mezzaro, la Dama Alexandra Zabala. Sul leggio la prima versione dell’opera, quella scritta da Verdi per la Pergola di Firenze nel 1847. Partitura in edizione critica (come tutte quelle presentate al Festival Verdi). Regia, cupa, ma anche colorata nelle apparizioni delle streghe, di Daniele Abbado che per tutto il corso dello spettacolo fa cadere sul palco una pioggia fitta e sottile, a evocare la nebbia della Scozia, ma anche una sorta di nebulosa da cui escono i personaggi.
Spettacolo in cartellone sino al 18 ottobre nell’ambito di un Festival che, sino al 21 ottobre, propone quattro titoli verdiani. Oltre a Macbeth si ascolta Le trouvere, versione francese de Il trovatore, con la regia di Bob Wilson e la bacchetta di Roberto Abbado sul podio di orchestra e coro del Comunale di Bologna: cantano Giuseppe Gipali, Roberta Mantegna, Franco Vassallo e Nino Surguladze. E poi Attila con Gianluigi Gelmetti sul podio e la regia di Andrea De Rosa, interpreti Riccardo Zanellato, Maria José Siri, Francesco Demuro e Vladimir Stoyanov. E a Busseto versione mignon per Un giorno di regno, unica opera buffa di Verdi diretta da Francesco Pasqualetti e con la regia, vista e rivista, di Pier Luigi Pizzi.
Già annunciati i titoli del 2019: si apre con I due Foscari, si continua con Luisa Miller in un insolito spazio monumentale di Parma, poi Nabucco e Aida a Busseto, dove sarà riproposto lo spettacolo-capolavoro ideato da Franco Zeffirelli nel 2001 per il piccolo palcoscenico.
Sabato a Milano prima di Ernani. Luca Salsi è Don Carlo in un cast che vede Francesco Meli nei panni del bandito del titolo, Aylin Perez in quelli di Elvira, Ilda Abdrazakov in quelli di Silva. Sul podio Adam Fisher. Regia di Seven-Eric Bechtold che immagina una compagnia di cantanti ottocenteschi che arrivano in un teatro e si cimentano con la partitura perdiana. Teatro nel teatro che garantisce una lettura tradizionale. Ernani, che sarà in cartellone sino al 25 ottobre, mancava dalla Scala dal 1982 quando la diresse Riccardo Muti con la regia di Luca Ronconi.
Nelle foto (@ Roberto Ricci) Luca Salsi in Macbeth al Regio di Parma per il Festival Verdi