Diario rossiniano. 9
L’opera di Rossini al Lac nella versione “barocca” di Fasolis Humor nero nella regia kolossal “alla Ronconi” di Rifici
Un Barbiere che parla “svizzero”. Anzi no, italiano. Perché Il barbiere di Siviglia che ha portato per la prima volta l’opera lirica sul palco del Lac di Lugano è targato (quasi totalmente) Italia. Una squadra di interpreti di casa nostra che, passato il confine, ha vinto la sfida di innestare il germe del melodramma tra musica classica, danza e prosa, i filoni che caratterizzano da tre anni la programmazione del Lac, sigla che sta per Lugano arte e cultura.
Carmelo Rifici, che dirige LuganoInScana, la sezione teatrale del Lac, ha scelto il titolo di Gioachino Rossini come omaggio ai centocinquant’anni della morte del compositore pesarese (ultima replica domenica 9 settembre). E ne ha fatto un omaggio ai grandi Barbiere del passato, da quello storico di Jean Pierre Ponnelle, patrimonio del Teatro alla Scala, a quello reinventato per il Rof di Pesaro nel 2005 da Luca Ronconi (di cui Rifici è stato a lungo collaboratore, raccogliendone oggi l’eredità alla guida della Scuola di teatro del Piccolo di Milano). Pur non rinunciando a un suo stile pop, dato dall’uso di luci al neon che, insieme ad una recitazione marcata, a tratti straniata, da teatro di prosa ronconiano, collocano il racconto in un limbo tra sogno e delirio.
Le scene stilizzate di Guido Buganza (che collocano la vicenda in un palazzo di maioliche blu dove si materializzano i contorni al neon di stanze e oggetti) ricordano la Siviglia immaginata da Ponnelle, così come le (poche) gag strizzano l’occhio proprio all’allestimento del regista francese. Ronconi fa capolino nel finale del primo atto: la casa oscilla, ondeggia quasi la vedessimo con gli occhi del (finto) ubriaco Almaviva. Ma anche quando l’oro che il conte offre a Figaro per aiutarlo nella conquista di Rosina sui fa personaggio (danzante) che suggerisce idee e stratagemmi al barbiere. Non solo. Una certa estetica ronconiana c’è nelle scritte luminose che contrappuntano l’azione (ricordano quelle del Sogno shakespeariano) o nelle poltrone da barbiere motorizzate sulle quali si muovono i mimi. I momenti di follia organizzata, dove i mimi contrappuntano il racconto, sono i passaggi più riusciti di uno spettacolo kolossal (a coprodurlo Lac, Radiotelevisione svizzera, LuganoInScena e LuganoMusica) per mezzi e idee messe in campo.
Una sfida come quella musicale, quella di un Rossini con le sonorità dei Barocchisti di Diego Fasolis, artista di casa a Lugano che ha messo sul leggio l’edizione critica del Barbiere curata da Alberto Zedda, proponendola su strumenti originali. Fa uno strano effetto sentire il Barbiere con un suono “barocco”, secco (Fasolis ha usato il diapason a 430 Hz), meno rossiniano, verrebbe da dire essendo abituati a cadenze e variazioni che Fasolis ha completamente stravolto. «Per riportare nell’esecuzione alcune prassi storiche, varianti improvvisate, libertà ritmiche togliendo gli orpelli romantici strappa appaluso come gli acuti» ha spiegato. Ma che alla prova dei fatti, anche vista la dilatazione dei tempi scelta (solo il primo atto arriva a sfiorare le due ore), suona quasi come un esercizio di stile per «farlo strano» a tutti i costi.
Barbiere “svizzero” sul fronte musicale con Fasolis e i Barocchisti. Italianissimo (o quasi) nelle voci. Italianissimo, certo, nella dizione che arriva da tutti impeccabile, primo fra tutti dall’uruguayano Edgardo Rocha, Conte che impreziosisce la sua interpretazione con il rondò di Almaviva. Giorgio Caorduro è un puntuale Figaro, Lucia Cirillo una temperamentosa Rosina, Riccardo Novaro un più serio del solito Bartolo e Ugo Gugliardo un tenebroso Basilio. Cifra, quella di una comicità nera, che è poi il sottofondo costante della regia di Rifici dove i personaggi escono quasi deformati da una lente di ingrandimento sotto la quale passano vizi e virtù (la fedeltà in amore, ma anche l’attaccamento al denaro) che sono quelli di ieri (raccontati da Rossini) e quelli di oggi (raccontati dalla cronaca).
Articolo pubblicato su Avvenire dell’8 settembre 2018
Nelle foto M.Pasquali Il babriere di Siviglia al Lac di Lugano