Diario rossiniano. 7
Il popolare mezzosoprano chiude il Rof con la Petite messe Per Opera Rara torna a vestire i panni di Arsace in Semiramide Ecco alcune tracce del lavoro nei negozi dal 7 settembre
Nella sua agenda «la parola vacanza per qualche mese non compare». Pieno agosto, molti sono ancora in vacanza. Daniela Barcellona è in una città di mare, Pesaro. «Ci torno dopo tanti anni». Non per riposare, però. Stasera, 23 agosto, il mezzosoprano di Trieste sarà sul palco del Teatro Rossini per la Petite messe solennelle che chiude l’edizione numero trentanove del Rossini opera festival. Una preghiera in musica per i 150 anni della morte del compositore che vedrà Giacomo Sagripanti sul podio dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Diretta su maxischermo in piazza del Popolo per la grande pagina che vedrà, accanto a Daniela Barcellona, il soprano Carmela Remigio, il tenore Celso Albelo e il basso Nicolas Courjal. «Sul leggio, naturalmente, l’edizione critica della fondazione Rossini – spiega la cantante – come si usa a Pesaro dove torno sempre con grande piacere».
Un anno, il 2018, per lei all’insegna di Rossini, signora Barcellona. Che si è aperto con l’Olivier award che le è stato consegnato ad aprile alla Royal Labert hall di Londra per la sua interpretazione di Arsace in Semiramide lo scorso anno al Covent Garden.
«Un premio inaspettato e, dunque, ancora più gradito per l’allestimento del titolo rossiniano andato in scena proprio a Londra: con me c’era Joyce Di Donato, sul podio Antonio Pappano e in regia David Alden. Lo prendo come il coronamento di una carriera rossiniana, un premio che mi ripaga dell’impegno che ho sempre messo nell’affrontare con serietà il mio lavoro, nello studio di qualsiasi autore e di Rossini in particolare».
Semiramide che ha inciso di recente per Opera Rara, versione integrale della partitura rossiniana che sarà nei negozi dal 7 settembre. Ecco il recitativo di Arsace, Eccomi alfin in Babilonia nella versione di Opera Rara.
Lei veste i panni maschili di Arsace.
«Dopo aver affrontato molte volte in scena questo ruolo – l’ultima volta a giugno a Berlino e lo ritroverò a febbraio a Bilbao – sono felice di poter lasciare traccia della mia interpretazione del personaggio: sul podio Mark Elder, Semiramide ha la voce di Albina Shagimuratova. Nonostante canti Arsace da quasi vent’anni ho ripreso in mano il ruolo ristudiandolo con il mio maestro, Alessandro Vitiello».
Qui invece la cavatina di Arsace, Ah quel giorno ognor rammento.
Da questo lavoro che personaggio ne è uscito? Diverso da quello che ha portato in scena in questi anni?
«Un’interpretazione non è mai qualcosa di definitivo, anche perché un personaggio è sempre in divenire, si adatta al cambiamento che la voce inevitabilmente ha nel tempo. Quando ho debuttato il ruolo nel 2001, poi, ero inesperta con paure e timori. Ora, invece, lo affronto con una certa serenità e questo mi permette di offrire un’interpretazione più genuina senza le preoccupazioni tecniche e vocali perché la parte l’ho fatta ormai mia. Dopo tanti Rossini, specie en travesti, ho sviluppato una certa cura nel dare a ogni personaggio una propria espressività e un proprio carattere pur restando fedele allo stile del musicista di Pesaro. In questo Arsace ci sono molti dettagli in più, anche dal punto di vista espressivo. Ci sono variazioni che forse in passato sarebbero state difficili da eseguire, ma che ora, dopo aver affrontato anche altri repertori e dopo che la voce si è assestata grazie alla tecnica e allo studio, mi risultano comode. Devo dire che Rossini mi è più facile ora che agli esordi».
Ascoltiamo ancora una traccia della Semiramide di Opera Rara, il duetto tra Semiramide (il soprano Albina Shagimuratova) e Arsace, Serbami ognor si fido il cor.
Cosa ha rappresentato e cosa rappresenta Gioachino Rossini nella sua carriera?
«Una sfida vinta perché mai avrei pensato di poter mai cantare Rossini. Anni fa ho iniziato a studiare Isabella de L’italiana in Algeri, ma non avrei mai pensato che il suo autore sarebbe stato così importante per la mia carriera. Rossini è un compositore utile per sviluppare la tecnica e non rovinare la voce. Per questo lo consiglio a tutti i giovani perché la sua musica offre una scuola di tecnica vocale, di stile di canto. Rossini mi ha insegnato tanto, mi ha formata e mi ha permesso di affrontare altri repertori, il Barocco che c’era prima di lui e Verdi che è venuto dopo. La scrittura di Rossini è molto cerebrale: se altri autori ti lasciano qualche momento di tregua per pensare a ciò che ti aspetta, lui richiede una velocità e una grande attenzione al presente».
Rossini buffo o Rossini serio? Quale predilige?
«L’opera buffa dal punto di vista compositivo è sempre eccellente e ricca di splendida musica. Il repertorio serio, però, è forse un gradino superiore perché ha contenuto musicali inarrivabili. Penso al finale di Tancredi con un quartetto d’archi e la voce sola che si va spegnendo come la vita del protagonista (questo nella versione con il fin ale tragico, non in quella con l’happy end): non serve nessun artificio per emozionare il pubblico, lo sento ogni volta che affronto questo ruolo».
Ruolo che, come quello di Arsace, la vede indossare panni maschili.
«Ho dovuto imparare a camminare da uomo, ma anche dal punto di vista interpretativo ho dovuto imparare a cantare come un uomo. Metto da parte la mia femminilità, ma poi quando interpreto ruoli femminili mi sfogo e sono contentissima. Nei ruoli femminili sono più me stessa e non devo filtrare attraverso una tecnica il mio modo di essere in scena dal punto di vista interpretativo».
Parlava del suo maestro, Alessandro Vitiello… che poi è anche suo marito.
«Ma non portiamo mai a casa il lavoro. Ho la grande fortuna di avere in Alessandro un marito, un maestro, un compagno di avventure: in lui ho sempre un punto di riferimento, un orecchio esterno, un occhio tecnico, un motivatore che quando non ho voglia di studiare mi rimette in carreggiata».
Insieme tenete masterclass, rivolte in particolare ai giovani musicisti.
« Alessandro affronta la parte tecnica e io gli aspetti interpretativi. Mi piace trasmettere ai ragazzi l’esperienza che ho acquisito in questi anni. Cerco di insegnare che la musica non è solo solfeggio, ma è espressività, mettere cuore, stile ed esperienza per far arrivare al pubblico un’emozione che vogliamo mettere nel personaggio. Fare musica è dare se stessi al pubblico: io dico sempre che dopo un’opera lascio l’anima in teatro e devo rigenerarla. Dico ai ragazzi: fate musica, date il vostro sentimento, il vostro cuore al pubblico così che l’emozione attraverso le vostre corde vocali arrivi dal vostro cuore al loro cuore. Poi ognuno deve esprimersi come sa e come può: nella musica, come nella vita occorre essere se stessi e non imitare nessuno per dare unicità ad un’esecuzione perché il cantante deve essere riconoscibile perché è se stesso, un unicum e non una copia di altri».
Nelle foto di Bill Cooper Semiramide a Londra e Daniela Barcellona agli Olivier Awards