Alla Scala Luisi dirige l’opera di Zandonai su libretto del Vate
Amore e morte tra Dante e Gabriele D’Annunzio. Perché, inutile negarlo, leggi Francesca da Rimini e ti viene subito in mente il quinto canto dell’Inferno. Quello dell’ «Amor, ch’a nullo amato amar perdona». Un po’ meno, forse, pensi al remake novecentesco della tragica storia fatto nel 1901 per Eleonora Duse, con il suo stile ridondante, dallo scrittore di Pescara. Un testo in versi quello di D’Annunzio che poi, ridotto da Tito Ricordi, è diventato il libretto dell’opera di Riccardo Zandonai, in scena sino al 13 maggio al Teatro alla Scala.
Nuova tappa, la Francesca da Rimini diretta da Fabio Luisi, della riscoperta del patrimonio verista da parte del teatro milanese. Storia a tinte (e suoni) forti. Riscoperta necessaria che riporta in scena partiture che hanno in sé passato e futuro di quando vennero scritte, respirano con i fermenti che si respiravano allora in Europa. Lo senti nella Francesca da Rimini in bilico continuo tra pagine perfette e altre più di routine.
Raccontate, però, con grande sensibilità da Luisi che dimostra ancora una volta di credere in questo repertorio: il direttore tiene bene le fila della narrazione tra orchestra e palco dove Francesca è una vocalmente affascinante Maria José Siri, Paolo uno spesso impreciso Marcelo Puente mentre gli altri fratelli Malatesta sono resi con la necessaria brutalità da Luciano Ganci e Gabriele Viviani. Nuovo allestimento che tiene insieme Dante e D’Annunzio, con costumi medievali e divise militari del Ventennio, con un grande libro (che diventa letto) che è quello che i due amanti leggono e con un aereo che, atterrato in mezzo al palco, richiama quello del volo su Vienna del Vate.
Allestimento di David Pountney che è più una scenografia (i bozzetti sono di Leslie Travers) che una regia, che offre una suggestione più che una (ri)lettura del testo. Un grande cilindro con un busto di donna in bassorilievo fa pensare a un girone infernale: evoca la stanza di Francesca e diventa una fortezza inespugnabile, disseminata di cannoni che nel finale ad effetto della prima parte sparano sul pubblico. Che applaude e scatta foto con i telefonini.
Nelle foto Brescia/Amisano Teatro alla Scala Francesca da Rimini
Articolo pubblicato su Avvenire del 6 maggio 2018