Nei giorni del cambio politico ai vertici del Teatro Regio l’opera diretta da Mariotti con la star del Met angela Meade
Un Verdi per due sovrintendenti. È quello de I lombardi alla prima crociata andato in scena negli ultimi giorni al Teatro Regio di Torino. Debutto con un sovrintendente, Walter Vergnano, in carica da 19 anni e dimessosi con quindici mesi di anticipo sulla scadenza del mandato. Ultima replica con un altro sovrintendente, William Graziosi: designato a maggioranza dal consiglio di indirizzo della fondazione lirica su indicazione del sindaco del capoluogo piemontese Chiara Appendino, Graziosi attende ora la nomina del ministero.
Nel frattempo un Regio senza vertici perché le dimissioni di Vergnano hanno portato alla decadenza automatica del direttore musicale Gianadrea Noseda (che ha tenuto comunque a sottolineare la sua indisponibilità a collaborare al nuovo corso della fondazione lirica piemontese) e di quello artistico Gaston Fournier Facio. Trio che, seppure tra alcune tensioni – la frattura tra Vergano e Noseda, che due anni fa sembrava sfociare nell’abbandono di uno dei due, era stata in qualche modo ricomposta –, aveva portato il Regio ai vertici delle fondazioni liriche italiane per gestione e qualità della proposta artistica.
Ma in mezzo (alla musica) ci si è messa la politica. Che è poi anche uno dei temi de I lombardi alla prima crociata. Quella politica (la contingenza storica scelta da Verdi è quella della prima crociata, appunto, ma in controluce ci sono tutti i popoli oppressi, quelli di ieri e quelli di oggi) contro la quale si leva l’invettiva di Giselda. «Dio non vuole!» è il grido contro i crociati che diventa un grido contro ogni violenza. Un grido che ascoltato (ancora una volta) oggi, in tempi di terrorismo e lotte armate, non può non scuotere. Peccato che il nuovo allestimento di Stefano Mazzonis di Pralafera sia fuori fuoco. E non perché di impianto tradizionale (scene di Jean Guy Lecat, costumi di Fernand Ruiz, belle le prime, meno azzeccati i secondi), ma perché con errori drammaturgici evidenti e spesso rinunciatario.
L’attualità è tutta nella musica. Nel «Dio non vuole!» che sul palco del Regio è affidato alla star del Metropolitan di New York, Angela Meade (applauditissima) che affronta con una facilità che lascia stupiti la scrittura impervia (acuti, agilità, legati) di Verdi. Scrittura che guarda al belcanto dove affonda le radici, ma allo stesso tempo fa intravedere la costruzione dell’impalcatura dello stile musicale e drammaturgico in arrivo.
Elementi che dal podio Michele Mariotti tiene insieme mostrando nella partitura giovanile il genio del Verdi che verrà. Il direttore d’orchestra pesarese affronta per la prima volta i Lombardi e ancora una volta conferma con la sua lettura musicalmente intelligente ed emotivamente coinvolgente come il primo Verdi stia tranquillamente a fianco dei grandi capolavori della maturità per idee, melodie, scrittura. Genio musicale che Mariotti esalta in un racconto serrato dove la partitura respira grazie a orchestra e coro del Regio. Intensi Francesco Meli, che offre il suo timbro inconfondibile ad Oronte, e Alex Esposito come Pagano, Lavinia Bini (Viclinda) e Alexandra Zabala (Sofia). Segno, la qualità musicale di questi Lombardi, di un Regio vivo e vitale. Che, si spera, non debba soccombere alle manovre di palazzo.
Nellw foto Ramella e Giannese Teatro Regio di Torino I lombardi alla prima crociata
Articolo pubblicato su Avvenire del 1 maggio 2018