Il figlio di Maurizio si cimenta con Chopin e Stockhausen autori prediletti e interpretati in tutto il mondo dal padere
Il sapore è quello della sfida: Pollini suona Chopin. Qualcuno potrebbe vederla forse come un’operazione furba perché il Pollini che suona Chopin non è Maurizio, oggi l’interprete di riferimento delle pagine del compositore polacco, ma Daniele, il figlio, anche lui pianista (e direttore d’orchestra e compositore). «Papà? Non mi ha detto nulla e non mi ha dato consigli particolari per la registrazione di questo disco» dice il musicista milanese, classe 1978, con in mano il suo cd di esordio con Deutsche grammophon. Che si apre con i Dodici Études op.10 di Frédéric Chopin. «Uno dei cavalli di battaglia di mio padre, certo, ma che io ho affrontato sin da giovanissimo» racconta Daniele Pollini, diplomato in pianoforte a 17 anni e perfezionatosi poi a Imola con Franco Scala. «Non ho mai preso lezioni di pianoforte da mio padre, ma quando gli chiedo consigli è sempre pronto a darmene. La scelta di diventare musicista è stata mia. Sono sempre stato libero di scegliere il mio futuro sin da piccolo senza nessuna pressione da parte dei miei familiari. Ho iniziato lo studio della musica che, però, dopo un po’ ho abbandonato riprendendolo solo quando la passione è nata in maniera autonoma» spiega.
Certo ascoltando il disco, il marchio di fabbrica Pollini è chiaro sin dalla cascata di note dello Studio n.1 in do maggiore. «Se penso a Chopin non posso non pensare alle interpretazioni di Alfred Cortot, Arthur Rubinstein, Arturo Benedetti Michelangeli e naturalmente di mio padre». Stile Pollini anche nell’impaginazione del disco, registrato tra il 2014 e il 2015 alla Herkulesssaal di Monaco di Baviera. Pensato quasi come un programma da concerto che si apre, appunto, con Chopin e che passando per Alexandre Scriabin arriva al Klavierstück IX di Karlheinz Stockhausen. «Non poteva che essere così perché tutti i grandi personaggi della musica che hanno frequentato la mia famiglia e il clima che ho sempre respirato in casa sono stati sicuramente uno stimolo per la mia crescita e per la mia formazione» racconta Daniele pensando, in particolare, a Stockhausen «un musicista che ho sempre amato e che è un punto di riferimento per il mio lavoro di compositore, interessato in particolare alla musica elettronica».
Il disco, disponibile da ieri non solo nei negozi, ma anche su tutte le piattaforme digitali, non è solo un affare di famiglia. È un passaggio di testimone, certo, ma soprattutto una dichiarazione di indipendenza. Daniele Pollini lo dice tra le righe, spiegando il perché dell’accostamento di Chopin, Scriabin e Stockhausen: «L’idea è stata quella di affiancare compositori di epoche diverse in un percorso per affinità, ma soprattutto per contrasti» racconta il musicista che alla tastiera offre lucentezza a Chopin, un’inaspettata morbidezza a Stockhausen e spessore meditativo alle pagine (alcune di raro ascolto) di Scriabin, la Sonata n.10, i Due Poèmes, Vers la flamme, le Due Danses e i Cinque Preludes. «Ho scelto autori che hanno innovato e sperimentato, cambiando le prospettive della musica e dando un ruolo centrale al timbro» spiega Pollini per il quale «il disco, molto più di un’esecuzione dal vivo, contiene in sé la tensione ad un’ideale di perfezione».
Da qualche tempo Pollini ha diradato la sua attività di solista alla tastiera. «Ho fatto pochi concerti e ne farò ancora meno in futuro perché mi sto dedicando prevalentemente all’attività di compositore con un grande progetto sinfonico con musica elettronica piuttosto fuori dagli schemi per la complessità e per l’organico che mette in campo». Ma non ha rinunciato ad entrare in sala di registrazione. «Sono cresciuto ascoltando i dischi e mi ha sempre affascinato l’idea di registrare musica. Anche per contrastare quella sensazione che mi prende al termine dei concerti di fronte alla constatazione di quanto la musica sia effimera perché dura il tempo di un ascolto e poi svanisce. Il disco diventa dunque un modo per lasciare una traccia di sé nel mondo».
Attraverso l’arte. Ma anche con l’impegno civile. «Un musicista che si impegna in politica ha sempre senso perché l’arte non è mai slegata dalla vita. Si può decidere di esprimere o meno le proprie opinioni, di essere o meno militanti, ma l’arte e la musica in particolare, riflettendo la realtà che ci circonda, inevitabilmente riflettono le idee, anche politiche, di noi artisti». E al di là dei bandiere e schieramenti un impegno per Pollini deve essere quello in difesa della cultura. «Paradossalmente oggi la cultura, rispetto a un tempo in cui era spesso elitaria, è accessibile a tutti attraverso i più svariati canali. Ma questa grande diffusione non è sinonimo di conoscenza. Perché la società non educa il cittadino, non offre lo stimolo di partenza per avvicinarsi all’arte, alla musica, alla letteratura».
Un passaggio di En blanche et noir di Debussy inciso per DG da Daniele Pollini insieme al padre Maurizio
Articolo pubblicato sul Avvenire del 7 aprile 2018