Il Trittico in scena a Piacenza con la regia di Cristina Pezzoli e il doppio debutto di Ambrogio Maestri come Luigi e Schicchi
Ha cento anni Il trittico di Giacomo Puccini, andato in scena la prima volta al Metropolitan di New York il 14 dicembre del 1918. Ma le sue storie potrebbero stare nelle pagine di cronaca dei quotidiani di oggi: un omicidio efferato con movente la gelosia, un suicidio balenato nella mente turbata di una madre alla quale è morto un figlio, una truffa che frutta beni immobili e soldi. Notizie del genere se ne leggono ogni giorno. Notizie che suggeriscono pietà. Pietà per un’umanità ai margini che Puccini ha voluto mettere in musica.
Fa questo effetto il Trittico ascoltato dal vivo al Teatro Municipale di Piacenza, seconda tappa del tour partito dal Comunale di Modena e che approderà al Valli di Reggio Emilia e al Comunale di Ferrara (tutti teatri che coproducono lo spettacolo realizzato con merito proprio per ricordare il centenario del capolavoro pucciniano). Un effetto che per un attimo fa vacillare la certezza della «potenza della lirica dove ogni dramma è un falso». Perché la lacrima, immancabile quando si ascoltano le pagine del compositore toscano, qui è qualcosa di più di una semplice commozione, si fa compassione per un dolore che vedi in scena e che riconosci simile a quello che bussa quotidianamente e in varie forme alla nostra porta.
La musica si sporca le mani con la realtà nel Trittico che non offre solo tre variazioni sul tema della morte come si si dice spesso per riassumere in uno slogan le tre opere che Puccini ha pensato unitariamente, scene che compongono un disegno unitario tanto che se ascoltate fuori contesto, abbinate ad altri tioli, perdono ciascuna qualcosa. Offre una riflessione incarnata nel quotidiano sulla difficoltà (se non impossibilità) di essere felici. Lo canta Giorgetta nel Tabarro. Lo dice con il suo urlo disperato Suor Angelica. Lo fa intravedere nel Gianni Schicchi l’avidità dei parenti convinti che la felicità stia nell’avere e non nell’essere.
Storie che la regista Cristina Pezzoli (nessuna ruga per l’allestimento datato 2008) ambienta tutte all’inizio del Novecento, negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, gli stessi durante i quali Puccini scriveva. Unità temporale che aiuta la narrazione delle vicende raccontate dalla Pezzoli come in un reportage di cronaca, un racconto in presa diretta a volte duro altre tenero in presa diretta. E se nello Schicchi le atmosfere ricordano Tim Burton per la deformazione grottesca dei personaggi, in Tabarro e Suor Angelica nulla è simbolico, ma reale e verosimile. Come la musica, mai spinta all’eccesso (niente verismo né espressionismo) da Aldo Sisisllo preciso e mai retorico sul podio dell’Orchestra regionale dell’Emilia Romagna.
Anna Pirozzi offre una prova intensa (quasi muscolare) prima come Giorgetta e poi come Suor Angelica. Doppio ruolo anche per Ambrogio Maestri che debutta con la sua voce fascinosa come Michele e Schicchi. Tre ritratti riusciti per Anna Maria Chiuri prima Frugola poi Zia Principessa infine Zita. Rubens Pelizzari e Matteo Desole gli efficaci tenori, Francesca Tassinari la dolente Lauretta. Molti gli artisti del coro del Comunale di Modena impegnati nelle molte parti del Trittico che, dopo cento anni, racconta ancora qualcosa di noi.
Nella foto di Rolamdo Paolo Guerzoni Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi
Articolo pubblicato su Avvenire dell’8 febbraio 2018