A Bologna Michele Mariotti e Graham Vick rileggono Puccini portando la triste storia tra i giovani sbandati di oggi
Dura e cinica come a volte sa esserlo la vita. Quella che incroci negli occhi della gente. Occhi che se ci guardi dentro ci trovi ferite del cuore che chi le sente bruciare forse vorrebbe nascondere, chiudere a chiave in una stanza dell’anima. Lasciarle lì e fuggire. Come di fronte alla morte. Umanamente incomprensibile, inaccettabile perché è la fine di tutto. Da coprire con un telo bianco per non vederla e provare a vivere come se non esistesse anestetizzando l’anima.
Dura e cinica La bohème di Giacomo Puccini vista con gli occhi di Michele Mariotti e Graham Vick. Direttore e regista che hanno portato al successo lo spettacolo che venerdì ha inaugurato la nuova stagione del Teatro Comunale di Bologna (il 25 alle 21.15 sarà trasmessa da Rai5). Dura e cinica nel suo buttare in faccia al pubblico (lo spettacolo è tutto in proscenio) una realtà che, nascosta (ma non troppo) negli angoli delle nostre città, c’è nonostante si provi a non vederla. La realtà di una generazione che non sa crescere, perché non le è stato insegnato da chi giusto cinquant’anni fa faceva una rivoluzione “senza armi” se non quelle del pensiero (che a volte fa più male di fucili e bombe) che non è stata indolore. Come tutte le rivoluzioni.
Impietosa nel disegnare gli artisti raccontati da Puccini (quarantenni se non più giovani gli interpreti) come i giovani di oggi, tanto simili agli universitari che in piazza Verdi, al termine dell’opera chiacchierano bevendo birra. Politica perché denuncia (anche con immagini estreme, che a volte mettono a disagio come quelle del terzo atto dove in un’anonima periferia di una grande città di oggi donne e uomini si prostituiscono per potersi comprare la droga) un degrado che prima che fisico è morale: rapporti umani malati, incapacità di comunicare, figuriamoci di amare. Tanto che Rodolfo non accetta la malattia di Mimì, si chiude nel suo egoismo e quando la ragazza muore scappa, incapace di fare il passo della maturità che il dolore chiede. E con lui scappano tutti. Mimì, morta e coperta da un lenzuolo, sola in una stanza vuota è l’immagine più potente di uno spettacolo – l’attualizzazione, oggi spesso di moda, qui non appare fine a se stessa, si specchia nel libretto per provare a parlarci di noi – a tratti crudo, che mette da parte qualsiasi sentimentalismo per raccontare la vita con la poesia del quotidiano.
Come fa dal podio Mariotti che affronta per la prima volta Bohème, leggendo la partitura del 1896 alla luce delle inquietudini del Novecento che verrà. Nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio racconta qualcosa dell’anima dei personaggi (e, quindi, anche di noi) che hanno il volto e la voce di Mariangela Sicilia (eccellente Mimì) Mimì, Francesco Demuro (squillante Rodolfo), Nicola Alaimo (intenso Marcello), Hasmik Torosyan (cinica Musetta).
Nella foto di Rocco Casaluci Comunale di Bologna Bohème
Articolo pubblicato su Avvenire del 20 gennaio 2018